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Recensione

Odysseus Kosmos and his Robot Quest

di Adriano Bizzoco  

il nostro voto
66
In breve

Immagina di essere un simpatico e talentuoso ingegnere aerospaziale che, insieme alla sua squadra, parte a bordo di una navicella alla ricerca di un buco nero nelle profondità dello spazio. I tuoi compagni atterrano sulla superficie di un pianeta dove il tempo scorre molto, ma molto più lentamente rispetto alla navicella, e tu, insieme al tuo assistente robot, aspettate da anni di vederli tornare nella vostra orbita spaziale. La situazione è piuttosto scoraggiante, ma mai perdere la speranza! Ci sarà tutta una serie di problemi scientifici da risolvere, sperimenti da condurre, una navicella enorme che solo tu sei in grado di mantenere in funzione e un sistema solare dominato da un buco nero che cela segreti inimmaginabili, e che si rivelerà la causa degli strani comportamenti della tua navicella spaziale. Il tuo futuro è pieno di sorprese!

 

Recensione Completa del 10 Dicembre 2017
Odysseus Kosmos and his Robot Quest è la prima avventura grafica punta e clicca sviluppata dal developer russo Pavel Kostin e prodotta dal publisher indie Herocraft. Trattasi di una serie composta da cinque episodi, il primo dei quali - da poco rilasciato su Steam - è oggetto della nostra recensione, e sarà seguito dalle altre quattro parti secondo questo scheduling: secondo episodio a marzo 2018, terzo episodio in estate 2018, mentre per gli altri due non ci sono ancora informazioni precise; al giocatore è lasciata la scelta se acquistare i singoli episodi o il season pass. Il gioco al momento è localizzato esclusivamente con testi in inglese e russo.

Un Interstellar pixelloso?

Quanti di voi hanno visto Interstellar di Christopher Nolan? Diciamo tutti. E quanti sono rimasti colpiti, tra le altre cose, dalla vicenda dell'esplorazione del pianeta acquatico la cui vicinanza al buco nero causa una distorsione temporale così forte da far corrispondere ogni ora trascorsa sulla sua superficie a ben sette anni in condizioni normali? Ricorderete bene che, mentre il team è alle prese con la turbolenta esplorazione, a bordo dell'astronave resta il solo Romilly, impegnato a raccogliere dati sul buco nero e a mantenere in ordine la stazione spaziale. Quando gli altri rientrano alla base, per loro sono trascorse solo tre ore, mentre per il povero Romilly sono passati la bellezza di 23 anni. Il film poi prosegue in modo egregio, ma a noi spettatori è riservato un solo punto di vista nella vicenda: quello del protagonista sul pianeta acquatico. Mentre nulla ci è dato sapere su come Romilly abbia trascorso tutto quel tempo, da solo, a bordo dell'astronave. E se ci pensate, effettivamente si tratta di una enormità. É lecito pensare che sia stata proprio questa l'ispirazione per Pavel Kostin nel concepire il suo Odysseus Kosmos and His Robot Quest.

La trama di OKAHRQ, infatti, ci vede nei panni di Odysseus "Oddy" Kosmos - un nome, un destino - un ingegnere aerospaziale lasciato solo a bordo di un'astronave, nel corso di una missione di ricerca spaziale all'interno del Sistema Gargan (in Interstellar il buco nero si chiamava Gargantua), mentre i suoi compagni sono sulla superficie del pianeta colpito dalla suddetta distorsione temporale. Cosa accade nel corso degli anni che il protagonista trascorre sulla stazione spaziale in attesa dei suoi compagni di missione? Quali incarichi dovrà svolgere per mantenere in funzione la stazione e portare avanti la ricerca scientifica come da programma? Ma soprattutto, in che modo la presenza di quel buco nero può spiegare una serie di anomalie che si cominciano a registrare a bordo della stazione spaziale? Questi grandi interrogativi sono la premessa narrativa di questa avventura, e non a caso la quasi totalità di questo primo episodio è focalizzato essenzialmente sulla costruzione di un contesto di vita quotidiana a bordo della stazione. A fare da spalla al protagonista, inoltre, ci pensa il suo fidato assistente robot, Barton Quest, caratterizzato visivamente da un display che mostra delle espressioni facciali utili a costruire dialoghi e qualche momento comico. Il rapporto tra i due, infatti, è strutturato nel più classico schema del protagonista incosciente e dell'assistente scrupoloso: Odysseus è un ingegnere di talento, ma dai modi piuttosto bizzarri e dal carattere decisamente pigro; Barton, di contro, è un robot ligio al dovere, preoccupato della buona riuscita della missione e, soprattutto, che Odysseus non faccia esplodere l'astronave nel tentativo - per esempio - di trasformare un sintetizzatore atomico in una macchina del caffè.
Il tono comedy che traspare chiaramente dalle prime battute dell'avventura, con il passare del tempo di gioco tende a perdersi, in favore di una narrazione centrata esclusivamente sull'idea che Odysseus debba fare fronte a una serie di guasti e anomalie via via più gravi, mentre il personaggio di Barton passa progressivamente in secondo piano, riducendosi a una voce fuori campo. Questo cambio di registro purtroppo non è accompagnato da un'altrettanta crescita della componente thriller, nonostante le intenzioni dello sviluppatore: il climax finale infatti risulta penalizzato dalla scelta di riservare la parte finale dell'episodio a una sequenza dal gameplay non proprio riuscitissimo. Ad ogni modo, come in ogni primo episodio che si rispetti, c'è un cliffhanger finale che dovrebbe stimolare la curiosità del giocatore.

Bob the Builder in space

Togliamoci subito il dente qui. Nelle intenzioni dello sviluppatore, questo primo episodio dovrebbe costituire la premessa narrativa per tutto quello che verrà dopo: c'è Oddy, c'è Barton, c'è la stazione spaziale e c'è una serie di anomalie crescenti a cui fare fronte. Cosa verrà dopo, per il momento non lo sappiamo. Ciò che sappiamo è che queste primissime ore di gioco - diciamo 4, 5 ore - sono tutte dedicate a ritrovare strumenti che Oddy ha perso in giro per la nave e non ricorda più, e a impiegarli per risolvere problemi tecnici di varia natura. Quanto è appassionante tutto questo? Diciamoci la verità: molto poco. Perchè lo spazio per la narrazione vera e propria sembra davvero marginale e la scrittura di questo primo episodio sembra davvero troppo sbilanciata nel tentativo di stabilire un contesto narrativo di riferimento per il futuro, dimenticando di stabilire un rapporto con il giocatore e di suscitare interesse in una trama che resta appena accennata sullo sfondo.

Il gameplay è dunque basato sulla ricerca di oggetti e sull'interazione degli stessi con l'ambiente. L'inventario (posizionato sul lato destro dello schermo), e più in generale l'interfaccia di gioco, risultano visivamente gradevoli, ma soffrono di alcuni problemi. Sovrapposizione dei testi e posizionamento del menu delle azioni sullo schermo, sono i più evidenti, ma più in là nel gioco - a inventario pieno - capiterà di avere qualche problema nel selezionare gli oggetti il cui slot si sovrappone ad altri hotspot.
Apprezzabile invece l'inserimento di un sistema informatico raggiungibile da diversi terminali a bordo della San Francisco (questo il nome della stazione spaziale). Si tratta di uno strumento che fornisce un po' di background narrativo e contemporaneamente si rende protagonista di diversi passaggi cruciali nello svolgimento dell'avventura.

Il problema della pixel art in movimento

L'elemento che salta all'occhio subito guardando gli screen di OKAHRQ è l'impianto grafico, definibile tranquillamente come pixel art, a patto di fare una distinzione importante. Ormai da qualche anno lo stile grafico pixelloso è diventato uno standard per le produzioni indie di ogni genere, al punto da poter essere considerato abusato, ed è facile intuirne il motivo: meno effort sia in termini economici che di tempo di lavorazione, con la possibilità di mascherare più facilmente eventuali limiti qualitativi. Ecco perchè è giusto rimarcare che nel caso di OKAHRQ è oltremodo giusto riferirsi con il termine di pixel art, perchè di questo stiamo parlando: di una perizia grafica davvero notevole e di una cura maniacale dei dettagli sullo schermo, come non se ne vedono facilmente in giro. Volendo fare un paragone, l'art direction sembra mutuata direttamente dai tempi della gloriosa Amiga, quando la perfezione grafica veniva raggiunta con una lavorazione di fino, pixel by pixel, per ricostruire ombreggiature, riflessi, luci e tonalità, e così ottenere un risultato finale incredibilmente evocativo e dettagliato. Prendete un gioco come Star Trek: 25th Anniversary, ad esempio, e noterete come 24 anni fa gli sviluppatori della Interplay affrontarono il problema di ricostruire gli ambienti di un'astronave, colorati, pieni di macchinari e cianfrusaglie, potendo contare esclusivamente sulla pixel art.

Non tutto è oro ciò che luccica, però. Dal punto di vista grafico ci sono due problemi: uno più generico relativo alla pixel art, l'altro strettamente legato al dettaglio grafico di OKAHRQ.
Nel primo caso parliamo di un difetto che affligge diverse produzioni recenti caratterizzate dal binomio 2D-pixel: la scalabilità della grafica. Ricordate cosa succedeva a Guybrush Threepwood quando veniva spedito in un punto distante in profondità? Lo sprite del personaggio si rimpiccioliva e perdeva di definizione, per effetto della bassa risoluzione, fino a diventare un grumo di pixel a malapena riconoscibile. Oggi quei limiti tecnici non esistono più e se lo sprite di un personaggio realizzato in pixel art viene rimpicciolito senza accorgimenti particolari - magari perchè lo sviluppatore decide di rappresentare una stanza più grande senza scrolling orizzontale, adottando una visuale più panoramica con la telecamera più distante - il risultato è che l'effetto pixel sparisce e subentra un anti-aliasing involontario. In questo gioco succede, come in altri, sebbene solo in una locazione in particolare e, per una scelta stilisticamente poco comprensibile, succede anche per gli oggetti nell'inventario. Niente di grave ovviamente, ma è un dettaglio che l'occhio più attento non mancherà di notare.

Il problema decisamente più grave tra i due è il secondo, e come detto è strettamente connesso a com'è stata realizzata la grafica di OKAHRQ. L'approccio con cui sono stati realizzati gli sprite del gioco - solo due, Oddy e Barton - è in realtà del tutto simile a quello dei fondali, ossia statico. Entrambi i personaggi sono molto dettagliati e perfettamente integrati nello stile dell'ambiente circostante, ma purtroppo non è possibile dire lo stesso delle loro animazioni, rese evidentemente problematiche dal metodo (obbligato) del frame by frame. Barton si muove poco e si limita a cambiare espressione sul display, ma Oddy cammina parecchio e lo fa piuttosto male; per non parlare di una gamma di azioni - dal sedersi allo sgabello allo stendersi sul letto - che avvengono in modo legnoso e in alcuni casi risultano incomplete (nella versione recensita, mancano completamente le animazioni che riportano Oddy alla condizione di normalità).

Nello spazio nessuno può sentirti dialogare

Pur trattandosi di una produzione indipendente, il comparto audio di OKAHRQ è di ottima fattura. Lo dimostra l'intro del gioco, breve ma significativa, grazie al tema musicale cantato che domina l'intera sequenza e che torna a farsi sentire sui titoli di coda dell'episodio uno. In generale le musiche di sottofondo sono piacevoli e gli effetti sonori sempre azzeccati. Sul fronte dei dialoghi invece si registra una peculiarità interessante.
Doppiare un videogioco, per quanto piccolo (e le avventure grafiche tipicamente non lo so, vista la quantità di testi), rappresenta un costo spesso insormontabile nelle produzioni indipendenti. Per riuscire a dotare il gioco di uno pseudo-doppiaggio, e dunque riempire i vuoti sonori causati da dialoghi lunghi e articolati, uno degli escamotage più diffusi è quello del gibberish (in italiano grammelot), e OKAHRQ ne fa largo uso. Ciò significa che nel corso dei dialoghi sentirete le voci di Odysseus e Barton, ma vi renderete conto immediatamente di come non ci sia corrispondenza tra le "parole" pronunciate e le frasi a schermo. L'effetto finale in realtà è buono, e certamente preferibile al silenzio assoluto, anche se la brevità delle tracce audio rispetto alla lunghezza dei testi fa perdere un po' di efficacia a questo escamotage.

Commento conclusivo

Quello esaminato è solo il primo di una serie di cinque episodi, dunque qualunque giudizio in questo momento non può che risultare parziale rispetto a quanto vedremo nei prossimi mesi. Quello che possiamo dire oggi è che senza dubbio Odysseus Kosmos and His Robot Quest ha dalla sua delle potenzialità, in primis artistiche, con le quali conquistare una fetta di giocatori appassionati di punta&clicca vecchio stile e amanti del gusto retro tipico dei giochi in pixel art, senza contare gli appassionati di thriller sci-fi. Il problema però è che senza una correzione di rotta sotto il profilo della scrittura e del game design, il rischio è che OKAHRQ non riesca a sollevarsi da un livello complessivo che per il momento è discreto. Attendiamo quindi con fiducia la prossima uscita.

 

Info Requisiti
Generale
Sviluppatore: Pavel Kostin
Publisher: Herocraft
Data Rilascio: 01/12/2017
Piattaforma: PC
Caratteristiche
Genere: Fantascienza/Commedia
Grafica: 2D
Visuale: Terza Persona
Controllo: Mouse
Sottotitoli: Inglese - Russo
Ricerche
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Requisiti minimi
OS: Windows 7/8/10
RAM: 2 GB
Hard Disk: 70 MB
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