Didi, una bambina che vive nella Parigi degli anni '20, ha un'amica immaginaria di nome Dawn. Dawn è capace di manipolare la realtà circostante, entrando nella dimensione delle ombre e modificando la luce circostante. Nei panni di Dawn e Didi, il giocatore dovrà quindi svelare tutti i segreti di questa città magica, tra spettacoli, luci elettriche, ombre e intrighi.
Quando la nota piattaforma digitale
Steam inaugurò il servizio
Greenlight, accolsi con entusiasmo la prospettiva di valutare le nuove proposte degli sviluppatori. Travolto tuttavia da migliaia di titoli di ogni risma, bollai l’impresa di catalogazione e scoperta mentale come impari e, dopo una prima lunga scorpacciata, mi accontentai di supportare qualche titolo a me caro, come ad esempio
La-Mulana, e dichiarai chiusa l’esperienza. Controllata poi la prima tornata di promozioni, in un periodo in cui Valve era ancora restìa a rimuovere gli argini di questo impetuoso torrente indie, nella lista figuravano solo una ventina di titoli; tra questi, il
trailer di
Contrast stuzzicò subito la mia attenzione.
Vantandosi di una presentazione di altissimo livello sulle spalle dell’
Unreal Engine 3, sospeso tra sognanti atmosfere della
Belle Époque, di luna park vintage e di una spruzzatina di
steampunk, i
Compulsion Games mostravano infatti di essere neofiti con carattere, azzardando anche con l’originalità di un gameplay che mescolava il platforming 3D per la classica esplorazione a quello 2D per la risoluzione di enigmi.
Forti di un contratto di distribuzione con
Focus Home Interactive, di un interesse delle
major delle
console fisse e, soprattutto, della convinzione di essere usciti dall’anonimato, il percorso all’orizzonte sembrava così luminoso.
Alla release, tuttavia, l’accoglienza fu tiepidina. Oltre ai gravi problemi di programmazione su cui ci soffermeremo nel seguito, Contrast si ritrovò incastrato tra due fuochi: da un lato la curva d’interesse del pubblico per la vena indie di puzzle-platformer artistici inaugurata da
Braid cominciava a scemare, dall’altro le aspettative nei confronti delle console
next gen erano piuttosto elevate e gli sviluppatori cedettero al ghiotto miraggio monetario accordandosi con Sony per un’uscita contemporanea alla Playstation 4. Al vantaggio di fare da pionieri per il nuovo
store digitale, su cui era anche gratuito per i sottoscrittori di
PSPlus, si contrapponevano aspettative di prestazioni elevate, che verosimilmente degli sviluppatori indipendenti non erano del tutto in grado di sobbarcarsi.
Frenato un po’ dal mancato chiacchiericcio dell’utenza sulla rete e dalla mia bassa sensibilità alle perversioni dell’
hype, avevo riposto questo titolo nel dimenticatoio, ma il tarlo che si era insinuato dopo il
trailer di lancio (che poi avrei scoperto essere non del tutto genuinamente rappresentativo) continuava a infastidirmi; ne approfitto dunque ora per riempire questo buco nel parco recensioni di AP.
Figlia di due professionisti delle arti sceniche, la piccola Didi, inebriata dai profumi del mondo dello spettacolo, approfitta dei pressanti impegni della madre per sgattaiolare fuori di casa e dare sfogo alla sua intraprendenza, curiosando dietro le quinte dei palcoscenici; il giocatore viene così chiamato a prendere le parti di una sorta di suo angelo custode, che lavora letteralmente nell'ombra, l’acrobata Dawn.
Scevra di una qualsiasi caratterizzazione se non per la condivisione di un legame con l'intrattenimento testimoniata dall'abbigliamento variopinto e dal trucco pesante d'antan, questa è vittima di una strana maledizione: escludendo Didi, è invisibile a tutti gli esseri viventi e capace di vederne le sagome solo se investite da un fascio luminoso.
In Contrast le
cutscenes si reinventano in una sorta di spettacolo di ombre cinesi, usato con prepotenza per rappresentare i dialoghi tra i personaggi. Mi fa sempre piacere sottolineare idee di questo tipo, che coniugano risparmio monetario, bypassando come nei
Tex Murphy la fase di animazione 3d dei personaggi, ad una precisa scelta stilistica, che non solo lascia spazio all’immaginazione dell’utente, ma soprattutto è in piena sincronia con la foggia dell’impianto ludico, risultando qui molto più efficace rispetto ad altri titoli.
Da limare però qualche dettaglio; è difatti affascinante assistere la piccola Didi quando sembra parlare al vuoto, ma la resa grafica a volte ha poco senso, ad esempio quando si dà a intendere che quest’ultima sia accarezzata dall’interlocutore mentre le ombre delle due figure sulla parete rimangono separate, oppure quando la proiezione di Dawn rimane sospesa in aria, mentre il vostro avatar ha i piedi saldamente piantati a terra.
Sono i sintomi minori di un comparto tecnico zoppicante, che purtroppo ha i suoi effetti più devastanti proprio nel suo fiore all’occhiello: il gameplay. All’insegna dell’innovazione più spinta, il mondo delle ombre di Dawn è uno dei metodi d’interazione più geniali che ho incontrato negli ultimi anni, ed è entrato subito in risonanza con la mia maggiore propensione ad esaltarmi per la raffinatezza del game design piuttosto che di altri ambiti, che in questo medium ancora fatico a considerare opera d’arte.
In prossimità delle pareti, Dawn può difatti trasmigrare nella propria ombra, solcando i contorni delle sagome proiettate sul muro; l’idea in sé non è completamente nuova, anzi ne ho incontrato una variante ne
La Torre delle Ombre per Wii. Laddove però quest’ultimo si protraeva troppo a lungo rimanendo quasi sempre indistinguibile da un canonico platformer 2D, Contrast introduce varie migliorie che lo incanalano molto più marcatamente nel torrente enigmistico. La libertà della terza dimensione non permette soltanto di passare in linea d’aria da una parete all’altra, ma apre anche, ove necessario, nuovi percorsi da scalare, sfruttando il cambio di prospettiva ombrosa dopo lo spostamento della fonte di illuminazione o dell’oggetto oscurante.
Molto interessanti, fra gli altri, alcuni enigmi basati sul controllo indiretto dell’ambiente tramite il trasferimento di specifici oggetti tra i due spazi dimensionali, che si incontrano nel corso della visita ad un’attrazione del luna park durante il secondo dei tre atti. Quest’ultimo funge da picco della soddisfazione risolutiva, poiché il giocatore ha ormai assunto dimestichezza con i poteri di Dawn e viene sorpreso da trovate stimolanti nella semplicità della messa in pratica, a cui però non corrisponde altrettanta progressione di trama.
Il trend moderno, almeno per il pubblico generalista, si sta muovendo verso l’annullamento delle sezioni passive, tuttavia questo impulso è di difficile trasposizione nelle avventure, per le quali la
cutscene è vista invece come una ricompensa. Contrast mi ha piacevolmente sorpreso implementando un modo per non sacrificare l’interazione a spese della caratterizzazione; a volte difatti Dawn saltella sulle ombre dei personaggi che discutono o viene trasportata dai loro movimenti quando gesticolano. E’ una soluzione molto più elegante di quella standard di
Half Life, ma purtroppo non definitiva, dato che al deficit d’attenzione dovuto alla coesistenza dei due aspetti si aggiunge una resa della fisica sulle piattaforme in movimento davvero ballerina.
La lista di lamentele in quel senso è lunga: comportamento ambiguo dell’
engine quando la striscia ombrosa è molto sottile, arduo svincolamento quando i contorni sulle pareti sono irregolari, rare situazioni di teletrasporto inatteso, gestione approssimativa dei pavimenti curvi, trasferimenti involontari tra i due piani di gioco. Imbufalisco non tanto per me, che ho una soglia di sopportazione dei
glitch relativamente alta, ma soprattutto perché essi forniscono un parametro di negatività oggettiva, che impedisce all’originalità del resto di fare scalpore e creare un seguito in un contesto in cui spesso si dà troppa importanza al risultato medio piuttosto che agli isolati momenti d’eccellenza.
Sia chiaro, nessuno di questi difetti ne pregiudica la giocabilità , specie per chi predilige il
pad, ma è difficile liberarsi della consapevolezza di essere di fronte ad un diamante allo stato grezzo, in cui convive sia la soddisfazione di aver assistito ad un elegante enigma, sia il timore di poterlo risolvere solo tramite un imprevisto; consapevolezza che sembra poi condivisa anche dagli stessi sviluppatori, che hanno incluso un set di
achievement estremamente abbordabili, che non prevedono di stressare troppo le loro impalcature. Le aggiunte tipiche dell’ambiente
console includono anche una serie di collezionabili; alcuni di questi sono necessari per la prosecuzione, ma vengono salvati solo al raggiungimento di uno dei rari checkpoint, altri, semplicissimi da scovare, aggiungono un po’ al folklore, ma a costo di scandire con più insistenza la durata estremamente breve del
playthrough, sia percepita che reale, che si attesta intorno alle 4 ore. Il sistema di
upgrades estremamente scarno non era indispensabile data questa longevità , anzi probabilmente sentirete la mancanza della possibilità di accelerare nel caso vogliate rivisitare il primo atto.
L’ambientazione attinge a mani basse dall’
Art Nouveau, che ritroviamo nei manifesti, nell’architettura anni ‘20, nelle attrezzature di scena o anche solo nei soppalchi di un bar. Il suo effetto visivo è dirompente, tanto da far rimpiangere quanto sia tristemente sottoutilizzato nel mondo dei videogiochi. La densità spaziale di contenuto non blando è molto alta, secondo un approccio simile agli action-adventure della conterranea
Ubisoft, ma avrei comunque apprezzato soffermarmi ad esplorarlo più a fondo. L’
open world, infatti, lo si assaggia appena e spesso è persino transennato da strane voragini che, sebbene richiamino il feel della fase finale circense di
Psychonauts, non hanno giustificazione di paternità nel pur sovrannaturale universo di Contrast.
Ad altri aspetti paranormali, quale il potere di Dawn, è dedicato un accenno di contestualizzazione narrativa troppo allusivo e implicito, probabilmente a causa del poco tempo a disposizione, ma tutto sommato l’evocativa chiusura del cerchio non è del tutto indecente nella sua incompletezza. Per tematiche, comunque, le attenzioni sono piuttosto rivolte al rapporto genitori/figli, alle relazioni sentimentali complicate dalla fatica per risalire la china ed alla difficoltà di conciliare carriera e famiglia.
L’esposizione procede tramite una serie di stralci di vita rappresentati nel solito stile grafico umbratile dell’opera, con tanto di illuminazione di convenienza; l’avventuriero più aduso al metodo cinematografico protagonista-centrico potrebbe non apprezzare, ma assurge bene allo scopo di motivare Didi e farci complici dello sviluppo della sua capacità di riparare macchinari e legami umani, nonostante abbia avvertito una generalizzata semplificazione delle reazioni emotive. In ambito di trama, comunque, la pecca più pervasiva risiede nella monotonia formulare del trasferimento tra due sezioni successive, che consiste immancabilmente nel seguire a ruota le indicazioni del preambolo esplicativo di Didi. Quest’ultima, tra l’altro, è l’unica a soffrire di un doppiaggio non impeccabile, specialmente nella gestione troppo allungata delle pause respiratorie. Simpatica invece la schermata di caricamento con
concept art, che viene rivista subito dopo nella sua trasposizione
ingame dalla stessa inquadratura.
Chi giustamente esige prodotti tecnicamente sopraffini può anche stare alla larga da questo titolo, data la sua incapacità di curare le fasi di platforming, che non possono né convincere gli utenti navigati, né accompagnare quelli alle prime armi. Nonostante ciò, l’apporto sperimentale di Contrast è un valore raro per coloro a cui si illuminano gli occhi davanti alle novità di gameplay; la mia insolita sintonia diviene manifesta quando mi ritrovo inconsciamente a sorridere subito prima di far ripartire il gioco, accolto qui dalla bellissima voce jazz della sigla d’apertura, che ben coglie la particolare declinazione noir adottata.
Parafrasando una dichiarazione cara ad un certo
game designer, per realizzare un prodotto di qualità non occorre riparare i punti deboli, ma rendere i punti di forza ancora più incredibili.