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Intervista a Guillaume de Fondaumière

del 19 Settembre 2016
Intervista a Guillaume de Fondaumière

A cura di Stefano Maccarinelli

La Gamescom è stata occasione di conoscere e parlare con alcuni elementi di spicco per il mondo delle avventure grafiche e, grazie alla rodata collaborazione con Stefano Maccarinelli, abbiamo la possibilità di proporvi la traduzione/trascrizione di un'interessante intervista realizzata a Guillaume de Fondaumière (figura di riferimento di Quantic Dream), da Stefano originariamente fatta per il programma Nerd 3.0, trasmesso dall'emittente svizzera Rete Tre. Buona lettura e buona avventura a tutti!

Stefano: Puoi per favore presentarti ai nostri ascoltatori (lettori), per chi ancora non ti conosce?

Guillaume de Fondaumière: Mi chiamo Guillaume de Fondaumière e sono il direttore generale di Quantic Dream e produttore di Detroit: Become Human.

Stefano: Quando avete fondato Quantic Dream quali erano le vostre aspettative?

GdF: È stato David Cage a fondare la società nel 1997. La sua visione dall'inizio era quella di creare giochi basate sulla narrazione e sulle emozioni. Il suo approccio è stato quello di differenziarsi dagli altri giochi, proponendo un'esperienza narrativa forte, ed è questo che l'ha subito interessato.

Dall'inizio, la domanda che ci facciamo sempre è "come possiamo fare per creare un esperienza narrativa che sia anche interattiva?". In sostanza, come dare la possibilità ai giocatori, attraverso le loro azioni, di cambiare il corso di una storia. E gioco dopo gioco proviamo a rispondere a questa domanda. Ma non è affatto semplice.

Stefano: Come si è evoluta Quantic Dream negli anni? Cosa è cambiato nel processo di sviluppo?

GdF: Certamente, grazie allo sviluppo tecnologico, è stato possibile, gioco dopo gioco, far evolvere moltissimo lo studio. Rispetto al primo titolo, Omikron: The Nomad Soul (1999), dove assieme a David Cage hanno lavorato relativamente poche persone, ora lo studio ha 185 persone che lavorano a tempo pieno. Più altri aiuti esterni sparsi per il mondo.

Abbiamo quindi notevolmente sviluppato le nostre competenze, evolvendo nel budget e nella complessità dei giochi che sviluppiamo.

Stefano: Quantic Dream presenta sempre tematiche molto forti, con un taglio decisamente cinematografico. Come scegliete quale storia raccontare?

GdF: Si tratta di un lavoro molto personale di David, che è all'origine di tutti i nostri progetti. Lavora in maniera autoriale, cioè basa il tutto su ciò che lo ispira e su quello che vuole esprimere a sua volta. E la maggior parte delle volte è proprio questo, la sua volontà di raccontare un certo tipo di storia, a muovere l'intera macchina.

Su Detroit: Become Human lo sviluppo è stato invece molto differente. Siamo partiti da un prototipo. A quel momento stavamo lavorando su Beyond: Two Souls e abbiamo creato un cortometraggio, ad uso solo interno, dal titolo Kara. Non era assolutamente pensato come videogioco, si trattava unicamente di un test tecnico che permetteva di mostrare a noi stessi che potevamo fare del motion capture di qualità riprendendo in una volta unica viso, corpo e voce. Cosa che non avevamo mai fatto prima e che volevamo appunto usare in Beyond.

L'abbiamo quindi mostrato a Sony. Era solo una milestone come un'altra, invece Sony l'ha adorato e ha detto che non poteva restare solo come qualcosa di interno, ma che doveva essere mostrato anche al pubblico. L'abbiamo quindi mostrato alla GCD e siamo rimasti sorpresi anche noi stessi del successo incredibile che ha avuto. L'eco si è sparso tra giornalisti e giocatori e in pochi mesi ci sono state più di 25 milioni di visualizzazioni. C'era anche tanta gente che ci richiedeva il seguito, ossia, il gioco, ma noi non avevamo nessuna idea di cosa sarebbe successo a Kara una volta uscita dalla fabbrica dove era stata costruita.

Nello stesso momento ci siamo detti che il tema poteva essere sufficientemente forte ed interessante e quindi, assieme a David Cage, abbiamo deciso di rispondere a diversi quesiti: cosa sarebbe successo a Kara una volta uscita dalla fabbrica? Qual è il mondo esterno? Quale sarà il suo posto nella società? Cosa succede ad un androide immerso in un mondo che non è il suo? Che impatto avrà sugli esseri umani e soprattutto sugli altri androidi un androide che sente emozioni?
E questa è stata così la genesi di Detroit: Become Human, il tutto partito da un cortometraggio che ha avuto una grande risonanza tra i giocatori e che ci ha quindi spinti a sviluppare il gioco.

Stefano: Normalmente nel mondo cinematografico e - alcune volte - anche in quello videoludico, si vivono delle esperienze uniche. Nei vostri videogiochi invece offrite sempre delle grandi diramazioni nella trama. È stata una vostra scelta precisa?

GdF: Sì, lavorare sulla narrazione interattiva è veramente uno degli obiettivi di Quantic Dream. E chi dice "narrazione interattiva" dice "scelte", ossia dare la possibilità al giocatore, attraverso le sue decisioni, di influenzare sul destino dei personaggi e di trasformare in profondità il corso della storia.

Tra i nostri titoli, Detroit: Become Human è di sicuro il gioco maggiormente non lineare. È quello che offre di più al giocatore di influenzare il destino di tutti i personaggi e della storia. Come è già successo in Heavy Rain e in parte anche in Beyond: Two Souls. Ma in questo caso, l'importanza delle scelte sarà molto alta in quanto tutti i personaggi del gioco possono morire. Vedete quindi che la responsabilità del giocatore nelle sue scelte è molto importante.

Stefano: Per i vostri giochi utilizzate sempre un engine sviluppato internamente. Come mai? Perché non utilizzate engine già esistenti come Unreal o Unity ad esempio?

GdF: Ci sono due ragioni fondamentali dietro a questa scelta: la prima è perché facciamo giochi molto differenti dal resto dell'industria e, quando ci approcciamo allo sviluppo di un nuovo titolo, non abbiamo sempre la possibilità tramite i motori di gioco attualmente sul mercato di realizzare esattamente quello che vogliamo, quello che abbiamo in mente. Fin dal principio abbiamo quindi fatto la scelta di sviluppare la nostra propria tecnologia in modo che sia perfettamente adattabile alla tipologia di gioco che sviluppiamo.

La seconda ragione è che abbiamo veramente un DNA da pionieri, quindi vogliamo andare oltre le frontiere, fare le nostre scoperte e sperimentare. Sia che si tratti della narrativa, delle emozioni o della tecnologia, cercando di far progredire questo media in maniera sempre più realistica, di fare identificare il giocatore sempre di più con i personaggi e sentire dell'empatia per loro.

Stefano: Al giorno d'oggi il confine tra arte e videogioco è sempre più labile. Cosa ne pensi?

GdF: Personalmente ho sempre pensato che il videogioco sia una forma d'espressione culturale e da anni mi batto in questo senso. Quando dicevo così anni fa, la gente rideva e guardava al videogioco come una specia di sottoforma di divertimento e niente più. Penso invece che oggigiorno il videogioco abbia guadagnato i suoi titoli nobiliari.

Credo che effettivamente ora tutti siano in grado di capire come questo media sia una vera forma d'arte, con i suoi autori. Ci sono generi molto diversi tra loro, nello stesso modo in cui ce ne sono nel cinema e nella letteratura.

Stefano: Pensate che i giocatori al giorno d'oggi siano più sensibili alle tematiche forti?

GdF: In generale penso che le persone abbiano sete di storie. E noi è veramente questo che ci interessa: offrire loro storie forti con tematiche che non si trovano necessariamente nei videogiochi, ma che toccano nel profondo le persone.

In "Detroit: Become Human" ad esempio si parla di umanità. Di qualcosa di unico. Non penso ci siano tanti giochi che hanno affrontato questo punto di vista.

Con Beyond: Two Souls abbiamo invece posto delle domande più esistenziali, come ad esempio diventare adulti. Con "Heavy Rain" ci siamo posti la domanda "fino a dove siete pronti ad arrivare per salvare qualcuno che amate?" e la relazione padre/figlio.

In breve, tutta una serie di tematiche che abbiamo l'abitudine di trovare nella letteratura e nel cinema, ma non ancora abbastanza nel mondo videludico, anche se qualcosa si sta muovendo.

Penso anche che Heavy Rain abbia avuto un'influenza molto importante in questo media; si sentono infatti sempre più sviluppatori che si riconoscono in queste meccaniche: offrire storia e tematiche che hanno senso anche nei videogiochi. Penso quindi che si tratti di una forma di maturità del media.

Per quello che riguarda Quantic Dream, abbiamo cominciato in questa direzione e sarà anche questa che seguiremo per il futuro. Giochi dalle tematiche forti e importanti, nelle quali i giocatori si possono identificare e avere il proprio punto di vista al riguardo.

Stefano: Avete parlato di maturità nel mondo videoludico. Un altro esempio in questo ambito è il fatto che utilizziate spesso anche personaggi di sesso femminile senza banalizzarli o stereotiparli.


GdF: Vero. È però anche vero che metà della popolazione è di sesso femminile e quindi è logico avere anche eroine donne. Purtroppo ci capita di vedere sulla stampa gente che viene attaccata per avere utilizzato eroi femminili nel gioco: noi non abbiamo mai portato pregiudizi al riguardo.

Nel corso degli ultimi anni c'è sempre stato lo stereotipo del giocatore maschile, adolescente, brufoloso, con i capelli unti, chiuso nella stanza. Anche questo è evoluto. Il giocatore si è evoluto. Ora ci sono anche tantissimi giocatrici e quindi per noi era normale arrivare a questo tipo di approccio.

Poi ci siamo anche chiesti "può un giocatore maschio identificarsi con un personaggio femminile?" e per noi la risposta è sempre stata "si, certo, senza alcun problema". E non siamo noi ad averlo inventato, penso ad esempio a Tomb Raider. È qualcosa di abbastanza naturale, non solo nei videogiochi, ma ad esempio anche nel cinema.

Stefano: Come vedete il futuro di Quantic Dream e il futuro in generale?

GdF: La tecnologia si è evoluta. Le macchine sono sempre più potenti. La domanda che ci poniamo sempre è "cosa ne facciamo di questa potenza?". Al servizio di cosa la vogliamo mettere? Noi vogliamo creare esperienze sempre più forti, in termini di emozioni.

Per la realtà virtuale avremo lo stesso tipo di approccio. Non vogliamo che sia solo un gadget, o qualcosa di tendenza per farsi belli. Vogliamo che sia qualcosa che abbia uno scopo e stiamo appunto pensando a come creare un'esperienza di immersione totale in ambito VR. Lavorare e fare ricerche per offrire esperienza differenti, ma con alla base sempre le emozioni.

Stefano: Pensi che ci siano ancora degli argomenti tabù che non sono stati toccati nel mondo dei videogiochi?

GdF: Si, penso che ci siano solo questi (ride). Abbiamo in effetti un media che a mio avviso, anche se prima parlavamo di maturità, è per certi versi ancora in uno stato infantile. Penso che nei prossimi anni vedremo un'evoluzione molto forte in questo ambito: ci sono ancora tantissimi temi che non sono stati toccati.

Ci sono ad esempio molto pochi titoli che trattano temi legati alla realtà, degli eventi storici contemporanei per esempio. Ci sono molti giochi di guerra, ma non ci sono giochi su quello che sta succedendo in Siria per esempio. Ci sono libri, giornali, film ma non ancora videogiochi. Sono sicuro che questo è solo un esempio di qualcosa che arriverà in futuro.

Stefano: Ultima domanda: in due parole dicci perché dobbiamo assolutamente giocare a Detroit: Become Human quando sarà disponibile.

GdF: Perché sarà un'esperienza estremamente coinvolgente a livello emozionale. Stiamo creando una storia nella quale ci sono tematiche molto forti e che offrirà un'esperienza non lineare unica ai giocatori. Ancora più di "Heavy Rain".