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Mobile Adventure - Volume 1

del 20 Agosto 2014
Mobile Adventure - Volume 1

A cura di Daniele Picone

Da estimatore della portabilità quale sono, ho sempre seguito con interesse gli sviluppi del mercato videoludico on-the-go e in passato mi sono spesso rammaricato dell’imbarazzo degli utenti non più in tenera età nel trasportare i dispositivi portatili dedicati. E’ però ora prassi comune imbattersi in un compagno di viaggio alle prese con un videogame e questo sdoganamento è avvenuto per via traversa: la proposta multipurpose più recente di smartphone/tablet può infatti combinare le canoniche esigenze socio-professionali a quelle di intrattenimento.

In virtù di ciò che è considerato, forse con una certa iperbole, come il contributo principale del parziale ritorno in auge delle avventure e tenuto conto dell’enorme potenziale sulle stesse delle interfacce touch, abbiamo deciso di dedicare una rubrica all’offerta videoludica del mercato mobile.

In linea con l’impronta generalmente immediata e breve di questi ultimi adotteremo però un format diverso dal solito, dividendo la rubrica in 3 mini-recensioni; la speranza è di coprire la maggior parte dei prodotti a disposizione nei mesi a seguire, a patto che seguano la seguente regola di base: release al day-one esclusiva per dispositivi mobili, (niente porting dei soliti noti, quindi).

Per rendere la rubrica sufficientemente varia, spazierò tra vari sottogeneri, tendenzialmente presentando un’avventura tradizionale punta-e-clicca (o meglio punta-e-tocca), una con forte orientazione sugli enigmi (Myst-cloni, escape-the-room e simili) e una jolly (per inglobare tutte le possibili idee alternative).

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The Silent Age – Atto 1 (Inglese) (Voto: 70)

Per quanto possa sembrare poco rilevante, The Silent Age è un’ottima vetrina di come si possa tradurre il recente trend “singolo tasto tuttofare” sulle interfacce touchscreen; per ovviare ai possibili equivoci sulla posizione e sulla frequenza di pressione sullo schermo, il gioco restituisce un chiaro feedback visivo, presente per puro diletto anche durante le (poche) cutscenes e che ben si adatta allo stile grafico pulito, con contrasti netti e stilizzati, eredità di quelle grafiche vettoriali nate per l’ottimizzazione delle timeline flash.

Il gioco racconta le vicende di Jasper, un inserviente che si ritrova all’improvviso promosso ad un ruolo di spicco dell’azienda in cui lavora (alla faccia di tutte le organizzazioni piramidali). Questa sua botta di fortuna inaspettata è però mera illusione: già pochi minuti dopo viene a scoprire che si tratta solo della copertura di alcuni eventi oscuri di cui l’azienda si è resa colpevole, collegati ad un non ben specificato cataclisma.

Venuto in possesso di uno strano dispositivo che gli permette di saltare tra due specifici istanti temporali, Jasper combina le informazioni pre- e post-apocalittiche per ricostruire l’ignoto intrigo di cui si è reso protagonista; per estensione questo dispositivo, attivabile con un semplice tocco da inventario, consente di aggirare passaggi occlusi o di scovare elementi ambientali, nascosti in un’ambientazione ma pienamente visibili nell’altra (un modo molto creativo per superare i problemi di pixel hunting).

E’ un metodo di gameplay che funziona egregiamente e che non è stato storicamente spremuto solo perché manca di totale versatilità; proprio di recente è stato comunque ripreso in maniera quasi identica da Lilly Looking Through e, di sfuggita, da The Night of the Rabbit, ma gli avventurieri ricorderanno forse con maggior affetto la variante del leggendario DOTT.

I cambi di scenario sono praticamente istantanei e in generale gli sviluppatori della House on Fire sembrano aver dato priorità all’immediatezza. E’ una scelta tipica del mercato mobile, che ha però esteso la sua influenza anche ai dialoghi, che risultano troppo sbrigativi e, specie a metà del primo atto, quasi ignorano lo sviluppo della trama a favore di una fuga senza eventi.

I viaggi nel tempo sono un tema vicino alla gioventù nerd e qualche leggera inesperienza nella sceneggiatura è all’ordine del giorno; lo stile ridicoleggiante del primo capitolo è molto lontano ad esempio dal copione anch’esso a tema impiegatizio di uno Stanley Parable, mentre l’atmosfera più pesante post-catastrofica alla Resident Evil, sottolineata anche dalla colonna sonora ambient più cupa, manca di qualche tono horror più marcato, sebbene i numerosi cadaveri simboleggino già bene la caducità della vita umana.

Il primo atto, suddiviso in 5 capitoli, ognuno con una leggera componente esplorativa, non dura più di un paio d’ore, ma è disponibile gratuitamente; la continuazione della storia, a giudicare dal blog, non dovrebbe tardare ancora molto ed è già disponibile in pre-order nel caso vogliate contribuire finanziariamente allo sviluppo.

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The Lost City (La cittĂ  perduta) (Italiano) (Voto: 73)

Sebbene qualcuno possa arguire che il contributo dei dispositivi mobili per la rinascita delle avventure possa essere lieve, sarebbe poco lungimirante non ammettere che essi abbiano consegnato una nuova patria al sottogenere dei Myst-cloni. Poiché l’utente mobile è spesso costretto a sessioni mordi-e-fuggi, un’impostazione avventuriera che restituisce centralità agli enigmi standalone concede di fruire senza problemi di una narrazione o di una risoluzione multi-layer spezzettata.

Tra i vari prodotti mystici che ho provato finora, il più convincente è The Lost City della Fire Maple Games; il giocatore è chiamato ad esplorare una lussureggiante isola disabitata, operando come da tradizione sui vari meccanismi disseminati sulla stessa. Prima che voi lettori mi abbandoniate per mancanza di nuovi stimoli, preciso subito che la città perduta possiede un eccellente elemento di distinzione: nel corso del gioco è possibile attivare delle statue che variano istantaneamente la stagione sull’isola; questo consente ad esempio di camminare sulle acque ghiacciate in inverno oppure di concentrare i raggi solari in estate.

Affine in un certo senso al concetto di gameplay della prima app proposta, ma declinato in maniera più originale, questa feature è un ottimo esempio di come si possano moltiplicare i contenuti di un lavoro senza far lievitare eccessivamente il budget, a patto che la fase di progettazione sia solida; le 38 schermate di gioco sono adattate alle quattro stagioni con efficaci accorgimenti di colore e affidano la centralità dello stile grafico non agli artefatti architettonici, bensì alla natura stessa che vi ci si arrampica, innevata, appassita o in fiore.

E’ prestata una certa cura anche all’interfaccia, che contiene un libro mastro, che si aggiorna automaticamente prendendo traccia degli indizi in cui vi imbattete, e una mappa, estremamente utile in un contesto molto aperto che costringe al backtracking aggressivo, ma che purtroppo non consente alcun teletrasporto. I puzzle da inventario si basano su variazioni del classico chiave nella serratura, mentre i rompicapo si appoggiano a stereotipi noti (ad esempio blocchi scorrevoli o ricostruzione di immagini); entrambi sono relativamente semplici e non occuperanno più di 3-4 ore, ma la componente esplorativa e di ricerca di indizi visuali rimane una combinazione vincente, specie quando l’elemento stagionale viene sfruttato appieno.

L’uso del font non si sposa alla perfezione con gli ambienti e purtroppo la traduzione in lingua italiana presenta qualche fastidioso errore di impaginazione. La colonna sonora è un po’ anonima e la trama (vi ritrovate su un’isola per volontà di vostra nonna, che vi ha lasciato un artefatto in eredità) è pressoché inesistente e comunque dimenticabile. E’censurabile, ma è mio compito, da recensore specialista, coprire anche la pura soddisfazione di snodare una matassa fatta di pura logica, specie se così a buon mercato e in un periodo in cui questi metodi d’interazione vengono spesso sacrificati in nome delle “emozioni”.

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Monument Valley (Italiano) (Voto: 74)

Per chi invece apprezza l’approccio basato sull’estetica di Machinarium & co, lasciamo per ultima un’app che sfiora solo tangenzialmente le avventure grafiche, reduce però da un notevole successo di vendite per il suo mercato. Non ha particolare bisogno di ulteriore visibilità, dato che la bellezza degli screenshots sarebbe capace di reggere da sola tutto l’eventuale sforzo promozionale, ma è comunque piacevole segnalarla.

Monument Valley è un’anomalia di mercato, essendo stato realizzato da uno studio professionale di design industriale (la ustwo) che non ha avuto nulla a che fare con i videogiochi prima d’ora. Il piacevole colpo d’occhio che lo caratterizza non è un esercizio di stile fine a se stesso e serve invece a supportare un’interessante idea di gameplay: realizzare un ambiente di gioco architettonico che permetta di superare i limiti geometrici dei cosiddetti oggetti impossibili, cioè figure che appaiono verosimili se tracciate in due dimensioni ma irrealizzabili se rappresentate in tre dimensioni secondo le prospettive che l’osservatore si aspetta.

Dovrete guidare il vostro avatar, la principessa Ida, attraverso una serie di costruzioni escheriane disseminate di triangoli di Penrose, mutando l’ambiente tramite rotazioni di prospettive alla Fez e plasmando la vostra mente perché si abitui alle sue geometrie non euclidee.

Viene conservata una consistenza interna e, nonostante ci siano piccole variazioni nei vari stage, l’utente può gestire la rotazione o la traslazione degli scenari con cognizione di causa: anche se la rappresentazione lascia ad intendere che questi ultimi appartengano a diverse altitudini, è sufficiente far aderire la proiezione bidimensionale di due zolle per passare dall’una all’altra.
Lo studio prende in prestito anche qualche trucco di repertorio, simile ad esempio agli intramezzi di Braid nelle laconiche frasi di una misteriosa figura eterea oppure nel rapporto con il totem, che, sebbene mostri una propria intelligibilitĂ , mi ha comunque ricordato il Companion Cube di Portal.

Sono espedienti che possono funzionare o meno in base alla vostra sensibilità, ma rimane eccellente la cura per i dettagli artistici, specialmente nel livello che considero più riuscito, una scatola magica che col tempo si espande in tutta la sua gloria (una strategia usata anche in The Room, su cui ritornerò proprio in questa rubrica) e poi si richiude a fine missione.

Come buyer beware, il gioco è decisamente breve per il prezzo d’ingresso e la decina di livelli offerti richiedono circa un’ora e mezzo per il completamento; gli autori hanno promesso sul loro blog un addendum da rilasciare a tempo indeterminato, ma anche in quel caso, poiché l’intrattenimento era maggiormente dovuto all’originalità dell’interazione piuttosto che alla sua forza intrinseca, è possibile che sia finito proprio subito prima che potesse annoiare. Ciononostante, Monument Valley rimane consigliatissimo per chi voglia anche solo rifarsi gli occhi e cedere all’ebbrezza dell’awww di fronte al suo innegabile charme.