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Recensione

Thimbleweed Park

di Stefano Rossitto  

il nostro voto
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il vostro voto (8 votanti)
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In breve

Il ritorno alle avventure old style di Ron Gilbert e Gary Winnick. Cinque personaggi giocabili in una città decadente piena di misteri di svelare.

 

Recensione Completa del 30 Marzo 2017
Thimbleweed Park, un titolo che nel corso degli ultimi anni ha fatto fremere di voglia le arterie di noi appassionati di avventure grafiche, è finalmente sui nostri pc. Noi di Adventure’s Planet eravamo già qui un mesetto fa con un’anteprima che si concludeva con la speranza di averci visto giusto circa la qualità del prodotto: è giunto il momento di fugare i nostri dubbi.

Per completezza, facciamo nuovamente una panoramica sulla storia della produzione del titolo. Se ormai la sapete a memoria saltate un paio di paragrafi senza paura di perdere qualcosa di fondamentale. Thimbleweed nasce da una semplice idea di Ron Gilbert (papà di Monkey Island, c’è bisogno di dirlo?) e Gary Winnick (anch’egli invischiato con Monkey Island, ma anche con i vari Indiana Jones, Day of the Tentacle, Loom) i quali si incontrano e decidono di voler provare a percorrere una strada coraggiosa: riproporre un titolo graficamente e stilisticamente vicino ai classici del genere.

Viene così lanciata una campagna Kickstarter con un goal minimo di 375.000$, una campagna che si presenta con un video che separa il mondo dei giocatori: se da un lato molti sbavano dinnanzi al ritorno di questi mostri storici, dall’altro la grafica è talmente antiquata da suscitare anche reazioni scettiche. Nonostante questo il progetto raddoppia la cifra entro la scadenza, proiettando Thimbleweed verso lo sviluppo vero e proprio.

Abbiamo accennato la volta precedente al coraggio di intraprendere questa strada, quindi nel corso di questa recensione cercheremo innanzitutto di capire quanto Gilbert e Winnick siano stati fedeli ai propositi iniziali e se abbiano o meno raggiunto quelle aspettative che un po’ tutti noi ci eravamo creati.

Iniziamo quindi proprio dall’ambito che inizialmente ha suscitato tanto dibattito, vale a dire quello della presentazione visiva. Il budget raddoppiato rispetto alla presentazione ufficiale ha infatti permesso agli sviluppatori di compiere un decisivo cambio di rotta verso una grafica in grado di porsi a metà strada tra Maniac Mansion e l’odierna produzione in pixel art (se volete un riferimento pensate agli ultimi titoli Wadjet Eye).

Il risultato finale è delizioso: scenari coloratissimi ricchi di dettagli, animazioni e persino effetti particellari in pixel. Questo lavoro di cesello è evidente già dalla prima schermata ormai già ben fissata nell’immaginario di chiunque abbia un minimo seguito lo sviluppo, quella del cadavere rinvenuto in un fiumiciattolo nei pressi di un ponte; l’acqua che ondeggia e i fili d’erba circostanti che oscillano dolcemente al vento restituiscono un effetto visivo che raramente ho riscontrato nella pixel art. Prendendo questo scenario come riferimento, sappiate che la qualità generale si attesta sempre su questo standard e a volte lo supera.

Il team ha infatti spremuto questi pixel in tutti i modi possibili e immaginabili, compresi effetti che personalmente non avrei mai pensato di incontrare. In alcuni frangenti, di cui non parleremo specificatamente in questa recensione, gli scenari vengono sottoposti a un filtro stupendo in grado di distorcerli completamente facendoli oscillare e ondeggiare nella loro interezza (tranne per l’interfaccia, ben fissa per motivi di praticità). A tutto ciò aggiungete un gioco di parallasse ben gestito, soprattutto in alcuni scenari molto estesi orizzontalmente e verticalmente.

In sede di anteprima avevamo sollevato dei dubbi circa questi scenari, i quali richiedono un certo tempo affinché il giocatore li percorra in tutta la loro interezza. Fortunatamente questo elemento è stato limitato e, di fatto, risolto con due semplici stratagemmi: del primo avevamo già parlato, ovvero la possibilità di far correre il personaggio con un doppio click unita a quella di poterlo muovere tenendo semplicemente premuto il tasto verso una direzione, senza doversi massacrare sul mouse; il secondo consiste in un semplice espediente di programmazione per cui, dopo aver visitato questi scenari per la prima volta, il giocatore viene immediatamente proiettato nella zona di interesse in caso vi ritorni una seconda volta. Tutto molto semplice, pratico e soprattutto onesto visto che elimina inutili andirivieni che avrebbero sì allungato la longevità ma a discapito del puro divertimento.

La qualità visiva viene confermata anche nella realizzazione dei personaggi, di fattura essenziale per rispettare i canoni degli anni 90 ma, nonostante ciò, espressivi al punto giusto e dotati di una buona gamma di animazioni. Non mancano ovviamente le azioni standard che si ripetono varie volte, come quando si raccolgono oggetti o si aprono cassetti, ma sono presenti anche molte animazioni dedicate che si attivano solo in determinati contesti, alcune veramente ben realizzate e in grado di strappare un sorriso (per fare un esempio, un personaggio che in un certo momento si prodiga in un balletto di trionfo).

Già che ci siamo prendiamoci un momento per parlare del character design, assolutamente ben congegnato e variegato al punto giusto. Il cast è vasto, parliamo di cinque personaggi principali e una trentina di npc, ognuno con le proprie peculiarità. Questi personaggi sono ottimamente calibrati tra i due poli che costituiscono la trama con cui Thimbleweed è tessuto, vale a dire l’humour e il thriller. La maggior parte delle persone che incontrerete e con cui parlerete, infatti, sembra nascondere qualcosa dietro una facciata di demenzialità. Segreti, accuse reciproche e indizi fuorvianti vi spingeranno a sospettare e dubitare di tutti, anche dei personaggi più assurdi.

Questo discorso ricopre tutti i personaggi del gioco senza escludere i principali. In Thimbleweed vi ritroverete infatti a controllare cinque personaggi primari: abbiamo gli agenti federali Ray e Reyes, i quali si ritrovano a collaborare malvolentieri, responsabili delle indagini sul misterioso omicidio che ha “sconvolto†la cittadina; Delores Edmund, nipote di un industriale di successo multimilionario che rinuncia a tutto pur di diventare una sviluppatrice di avventure grafiche; Ransome il clown, un pagliaccio scurrile che si ritrova a pagare un duro dazio per aver offeso più del necessario; del quinto personaggio voglio evitare di parlare approfonditamente per non rovinarvi parzialmente la trama. Vi basti sapere che si tratta di un personaggio gestito in maniera esilarante, che modifica il gioco visivamente e persino a livello di interfaccia SCUMM con un set di verbi appositamente modificato per le proprie esigenze.

Le storie personali di questi variegati figuri sono in grado di suscitare una vasta gamma di emozioni e reazioni, dal lato puramente comico legato a Ransome passando per la simpatia che inevitabilmente si crea nei confronti di Delores giungendo al mistero che si cela dietro le vere ragioni che spingono Ray e Reyes (so che può sembrare spoiler, ma in realtà questi ultimi due non mancheranno di comportarsi in maniera sospetta già dalle primissime battute del gioco).

L’aspetto viene rinforzato da un doppiaggio ottimo basato su un casting particolarmente azzeccato per ogni singolo personaggio. I principali in particolare hanno esattamente le voci che uno potrebbe aspettarsi guardando delle immagini fisse. Delores esprime entusiasmo in ogni frase che pronuncia, la voce rauca e scorbutica di Ransome è esattamente quello che serviva per reggere il peso di tutte le parolacce che pronuncia (rigorosamente bippate), l’agente Ray sprizza cinismo in ogni singolo commento, il suo collega Reyes è un simpatico idiota e risulta impossibile non ridere di fronte all’interpretazione che il doppiatore è riuscito a darne.

Stesso trattamento è stato riservato ai personaggi secondari, alcuni davvero esilaranti (basti pensare allo sceriffo aka coroner aka receptionist) ma anche seri e profondi in alcuni determinati momenti di particolare importanza. Piccola ma doverosa nota per la traduzione dei testi in italiano: onore a chi ha dovuto gestirla. Le battute di spirito sono state rielaborate in maniera tale da essere comprensibili anche per un pubblico italiano, a volte con scelte coraggiose che personalmente ho apprezzato e che, in alcuni casi, mi hanno fatto davvero sbellicare (il giardiniere che parla in ciociaro con il suo “steng a scavà†mi ha tormentato per giorni).
Per quanto riguarda la localizzazione, quindi, andate tranquilli.

Segue lo stesso andamento la sonorizzazione generale, in particolar modo per quanto riguarda la colonna sonora. Forse in quest’ambito c’è stata una calibrazione più tendente al lato thriller, impostazione che personalmente ho preferito. Non dico che manchino theme più spensierate, ma queste sono più legate a particolari momenti di comicità piuttosto che alla sonorizzazione generale degli scenari di norma più improntata verso il lato investigativo. Queste musiche di accompagnamento ricordano stilisticamente i telefilm investigativi degli anni 90 ma, anche in questo caso, non suonano vecchie o antiquate all’orecchio per il semplice motivo di essere state arrangiate in una chiave più moderna.

Questa impostazione di fondo crea un effetto sorprendentemente piacevole di divertimento misto a intrigo, un effetto che sollecita il giocatore all’interazione vuoi per far avanzare la trama o semplicemente per farsi due risate. Il bilanciamento dei due aspetti è stato particolarmente curato e ha il pregio di arrivare intatto fino alle ultimissime battute, senza sacrificare un ambito a favore di un altro. La vicenda in sé, infatti, è scritta con cura e sapienza, prosegue svelando poco a poco ogni mistero e inserendo di continuo momenti di puro svago, fino alla conclusione non scontata e ben pensata. Se proprio dovessimo appellarci a una sbavatura di scrittura, potrei dire che il finale lascia aperto qualche punto che non viene chiarito al 100%, o piuttosto non si preoccupa volutamente di farlo.

Purtroppo anche in questo ambito non posso essere più preciso, ma sono molto curioso di leggere i vari commenti che seguiranno circa la conclusione del gioco.

Ho lasciato per ultimo un aspetto che a me personalmente sta molto a cuore e che reputo fondamentale per definire una vera avventura grafica, soprattutto una di impronta così classica. Sto parlando del game design. Ricordo ancora il commento di Gilbert mentre giocavo la versione remastered di Monkey Island 2, in cui lo sviluppatore spiegava come gli enigmi fossero stati congegnati: venivano pensati nella loro interezza e poi spezzati e sparpagliati il più possibile tra i vari scenari disponibili. Lo stesso spirito è quello che ha guidato la progettazione di questo nuovo titolo, complice la presenza di un vasto numero di luoghi visitabili già dall’inizio e da altri che invece si sbloccano col procedere delle indagini.

A questo si aggiunge però un nuovo elemento assente in Monkey Island ma presente in un altro classico costantemente citato in Thimbleweed, vale a dire Maniac Mansion e la possibilità di scegliere tra vari personaggi disponibili. Qui devo aprire una parentesi che forse aiuterà alcune persone indecise sulla possibilità di acquistare questo titolo o meno: Thimbleweed non è Maniac Mansion, decisamente. Maniac Mansion è un gioco che ha sempre diviso gli appassionati in due grandi fasce, ma nel corso degli anni Gilbert e Winnick hanno accumulato esperienza e l’hanno usata per evitare di ripetere gli stessi errori. Niente vicoli ciechi e niente enigmi basati su giochi linguistici incomprensibili ai non-anglosassoni (ve lo ricordate il monkey wrench di Monkey Island?), in pratica un game design che ha imparato dal passato per calibrarsi al punto giusto.

In particolare il fatto di poter scegliere tra cinque personaggi non risulta un semplice espediente narrativo ma va a integrare un sistema di enigmi già di per sé molto appagante in termini di qualità e quantità di sfide proposte. Ognuno dei personaggi, infatti, ha il proprio carattere e le proprie disposizioni a compiere determinati tipi di azioni o raccogliere certi tipi di oggetti. Sebbene sia possibile scambiarli tra i vari personaggi, infatti, alcuni saranno tipici di un personaggio specifico e non cedibili agli altri. Inoltre quello che a Delores sembra infattibile, magari lo sarà tranquillamente per Ransome o uno degli altri protagonisti.

Questa impostazione potrebbe suonare confusionaria e puntare al caos per allungare il brodo e aumentare la difficoltà. Vero in parte. Se è vero che la difficoltà risulta incrementata è anche vero che la logica dietro ciascun enigma è ferrea e assolutamente onesta nei confronti del giocatore. Dietro ogni soluzione a cui sono arrivato c’è stato un ragionamento e non mi è mai capitato di dover ricorrere all’uso smodato di ogni oggetto dell’inventario con tutti gli elementi degli scenari, anche vista la mole notevole di entrambi gli elementi.

In parole povere il design di questo gioco è fenomenale, di impostazione assolutamente classica con qualche trovata in grado di avvicinarlo alla modernità. Il livello di sfida è notevole, forse addirittura un po’ troppo elevato. Anche in questo caso è evidente l’esperienza degli sviluppatori, i quali hanno saggiamente inserito la possibilità di scegliere tra due livelli di difficoltà. Il livello casual, oltre a proporre un tutorial iniziale, presenta unosnellimento cruciale degli enigmi che il giocatore deve risolvere, a volte cancellando persino intere scene visitabili. Il livello normale, invece, risulta particolarmente ingarbugliato ma al contempo decisamente più appagante per i giocatori più esperti che vogliano cimentarsi con una sfida vera. In ogni caso tutti i personaggi avranno a disposizione un taccuino con sopra le quest momentaneamente attive, così da limitare la confusione che potrebbe derivare da tutta questa abbondanza.

Per terminare il gioco al livello normale ho impiegato più di quindici ore, ma tenete presente che avevo già avuto modo di risolvere vari enigmi in sede di anteprima. Potremmo quindi stimare una longevità che oscilla tra le quindici e le venti ore, longevità che calerà drasticamente in caso giochiate a livello casual (in questo caso azzarderei sulle dieci ore). Durante il test iniziale avevo sollevato il dubbio su questa longevità superiore alla media, un dubbio circa il livello di coinvolgimento che a lungo andare sarebbe potuto risultare annacquato e magari diventare noioso.

Fortunatamente Thimbleweed non fallisce nemmeno in questo senso, grazie ai molteplici elementi di cui ho parlato finora.

Se proprio dovessi andare a trovare un difetto in questa produzione, potrei appellarmi all’impossibilità di skippare i dialoghi. È pur vero che questi risultano sempre allegri e divertenti, o perlomeno sensati, ma ci sono alcuni particolari enigmi che vi spingeranno a sentire più volte le stesse linee di dialogo senza poterle interrompere. In ogni caso si tratta di una goccia in un mare, un piccolo appunto che però reputavo doveroso fare.

Volevo concludere con una piccola riflessione: Thimbleweed Park è veramente un ritorno al passato? Un tributo destinato a esaurirsi in un bagliore momentaneo? Mentre lo giocavo ammiravo l’utilizzo che è stato fatto dello SCUMM e l’incredibile logica con cui sono stati pensati gli enigmi e, per assurdo, ho realizzato che questo è forse quello che molti di noi vorrebbero per il futuro delle avventure grafiche. Un design più coraggioso, che non si lascia intimorire dalla semplificazione che il genere ha subito col passare degli anni andando sempre più verso la finta interazione del giocatore.

Gilbert e Winnick potrebbero aver creato un warp temporale in grado di strappare un pezzo degli anni 90 proiettandolo con potenza nel nuovo millennio, integrandolo e rendendolo fruibile ai vecchi e ai nuovi giocatori allo stesso modo. L'idea che questo Thimbleweed possa configurarsi come esempio per tanti nuovi designer e per altri progetti futuri potrà sembrare per alcuni di noi appassionati un sogno, forse destinato a esaurirsi subito o forse destinato a ispirare una nuova corrente di pensiero.

Del futuro non ci è dato sapere, dal passato possiamo sempre attingere, ma nel presente non posso fare a meno di consigliare Thimbleweed Park a chiunque ami il genere delle avventure grafiche.

 

Info Requisiti
Generale
Sviluppatore: Terrible Toybox
Data Rilascio: 30/03/2017
Piattaforma: Android, iPad, iPhone, Linux, MAC, Nintendo Switch, PC, PS4, XboxOne
Caratteristiche
Genere: Giallo
Grafica: 2D
Visuale: Terza Persona
Controllo: Mouse
Doppiaggio: Inglese
Sottotitoli: Multilingua (italiano incluso)
Ricerche
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