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Recensione

Danganronpa: Trigger Happy Havoc

di Daniele Picone  

il nostro voto
78
In breve

L’accademia Hope’s Peak ospita i più brillanti studenti delle scuole superiori del Giappone - fari della speranza per il futuro. Ma quella speranza muore all’improvviso quando Makoto Naegi e i suoi compagni si trovano imprigionati nella scuola, tagliati fuori dal mondo esterno e soggetti ai capricci di uno strano orsacchiotto omicida di nome Monokuma. Egli metterà gli studenti l’uno contro l’altro, promettendo la libertà a chiunque riesca ad assassinare un compagno di classe e farla franca.

 

Recensione Completa del 12 Maggio 2014
Fin dalla culla, il genere avventura ha sempre avuto una preponderante connotazione geografica occidentale, mentre nel frattempo il Sol Levante faceva capolino nelle nostre competenze quasi inconsapevolmente, seguendo un percorso di evoluzione parallelo ben radicato nelle loro radici culturali. La loro visione di ibrido narrativo-enigmistico nasce infatti perlopiĂą da due esigenze: coprire le richieste di un nuovo pubblico legato alle console portatili, piĂą propenso ad apprezzare un concept meditativo, e far evolvere, distinguendosi dalla massa, il mercato visual novel, che in oriente ha una tradizione e una penetrazione di pubblico molto forte.

DanganRonpa è figlio di questo brodo creativo e riassume, in un pacchetto di qualità confezionato su misura, molte ispirazioni creative facilmente identificabili, destinandole stavolta all’utenza delle portatili Sony che non le ha mai vissute in primo piano. Originariamente rilasciato nel 2010 per PSP (esclusivamente in lingua giapponese), il gioco raggiunse silenziosamente lo stato di culto nelle comunità web, le quali si adoperarono per mettere a disposizione traduzioni amatoriali (anche in italiano). Dinanzi a questo successo, lento e inaspettato, la NIS, una software house molto attiva nella produzione di rpg per console Sony, decide quindi di localizzare ufficialmente il gioco in lingua inglese, ma su una console che ha grande bisogno di ampliare il suo parco titoli, la PSVITA.

Intrappolati in una scuola completamente barricata dall’esterno, quindici studenti, l’élite del paese nei loro rispettivi campi, partecipano per coercizione ad un gioco fatale: l’unico studente a cui sarà concessa la libertà dovrà uccidere uno dei suoi compagni senza che gli altri riescano ad identificarlo come omicida. Riportando le parole dell’aguzzino, l’orsacchiotto radiocomandato bianconero Monokuma, l’esperimento servirebbe ad analizzare lo scontro tra la disperazione della situazione imposta e la speranza rappresentata dal talento degli studenti dell’istituto superiore.


Gli sviluppatori della Spike-Chunsoft non si allontanano troppo dal paradigma tematico di un'altra loro popolare visual novel ibridata con sezioni puzzle, 999: Nine Hours, Nine Persons, Nine Doors, ma si rivolgono stavolta ad un nuovo scrittore (Kodaka Kazutaka). Confrontando le due opere, dal lato ludico il mix investigativo/processuale di DanganRonpa risulta non solo meglio integrato con gli avvenimenti, ma contribuisce anche attivamente alla loro evoluzione. La sua scrittura, invece, pur rimanendo appassionante e ottimamente strutturata cronologicamente, manca della stessa eleganza nella stesura. Esperta ma non autoriale, la pecca principale dei testi risiede forse nell’uso fin troppo professionale di strumenti narrativi, da cui scaturisce una storia davvero capace di sorprendere e tenere sul filo, ma impersonale e non esattamente riconoscibile.

L’impronta culturale pop nipponica è ben radicata; se molti potrebbero difatti individuare un’affinità con gli Hunger Games, alcuni giapponofili/weeaboo mi ricorderebbero a ragione che lo stesso Giappone ha inaugurato con Battle Royale il trend dei giochi omicidi in ambiente confinato. Avendo apprezzato entrambi nella loro diversità, non mi dilungo oltre in questo passatempo del “Chi ha influenzato chi?”, altrimenti finirei per chiamare in causa anche gli antichi anfiteatri romani; è però innegabile che l’intrattenimento orientale, già di suo altamente specializzato sul pubblico adolescenziale, fornisca molte prove tangibili che esso sia terreno fertile per costruire su questa premessa.

L’identificazione così precisa del target audience shōnen è coerente con le caratteristiche percepite del pubblico delle portatili Sony in confronto a quelle Nintendo, ma giustifica solo in parte l’inserimento di personaggi stereotipati e che indulgono nel fan service, quali la idol o la gothic lolita. Il problema risiede non tanto nello sporadico scambio di battute maliziose, fisiologico in una storia lunga oltre 25 ore così ricca di testo e con il retaggio storico del genere vn, ma soprattutto perché i caratteri e le reazioni sono telefonate o, peggio, talmente esasperate da non lasciare mai posto a sottigliezze o interpretazioni nascoste nel non-detto. L’enfatizzazione caricaturale è effettivamente criticabile, ma sopperisce ai limitati ventagli espressivi delle illustrazioni a busti immobili; è un’impostazione grafica standard, non so in quanta parte dovuta a limitazioni di budget o di hardware.

Non veicoli emotivi, ma strumenti di ragionamento, i giovani virgulti sono di ogni tipo, ma quelli che spiccano di più in questo contesto distopico che fa dell’arguzia e dell’inganno le proprie armi, sono quelli coi talenti più orientati alla logica (Togami, Celestia, Kirigiri). Questi ultimi sono purtroppo assai più memorabili anche di Naegi, il classico avatar blank che controlliamo e che Monokuma definisce con efficacia il più comprimario tra i protagonisti (paragonandolo ad un altro ragazzo del cast, il più protagonista tra i comprimari). Questo è solo un assaggio delle intrusioni sarcastiche del nostro arbitro supervisore: egli non esita mai ad intromettersi attivamente, ridicolizzando le dinamiche del gruppo e gli sviluppi cliché della trama, anche con un po’ di ipocrisia visto che lo stesso sceneggiatore capo non esita ad abbracciarne qualcuno se gli fa comodo.

Una partenza diesel, ma in grado comunque a trovare lo scoppio vincente: il prezzo è di rimanere in debito con il maestro Shu Takumi. Ripresa quasi del tutto l’idea di base del suo capolavoro Phoenix Wright, il modello contagia con entusiasmo l’anima di DanganRonpa, trasferendone pregi e difetti strutturali, ma limandoli in base alla propria filosofia. Le sezioni investigative subiscono una metamorfosi e sono qui estremamente logiche e scorrevoli. Come conseguenza, il modus operandi di ogni omicidio può essere ricostruito con altissima precisione ben prima che lo ripercorriate nel tribunale di classe.

Mi sarei aspettato che questo schema comportasse anche una maggiore prevedibilità degli eventi, ma l’elemento sorpresa è invece comunque conservato in varie forme, soprattutto grazie ad un sapientissimo uso congiunto di distrattori palesi e celati. Vestendo i panni del critico malefico, aspettavo al varco possibili discrepanze nella sceneggiatura, ma, proprio quando pensavo di averle trovate, il gioco ha punito la mia malafede spiegandomi invece come quello fosse un indizio che avrei dovuto cogliere per smascherare l’omicida. Apprezzato anche l’espediente narrativo, molto caldo nei thriller psicologici orientali, di trovare falle in un sistema di regole appena introdotto; anche quando il supervisore tende a trasgredirle non è mai per parzialità, ma solo per aumentare lo spettacolo (con purtroppo una singola, notevole, eccezione).

La tavola rotonda processuale è ad alto tasso adrenalinico e simula alla grande la sensazione di coinvolgimento in un dibattito acceso col sangue che ribolle in attesa di dire la propria in mezzo al parlottio. Questo turbillon ludico, molto raro per il genere, vale da solo il prezzo del biglietto: è una mistura di obiezioni a tutto campo, accuse a mitraglia con gameplay ritmico, giochi dell’impiccato deduttivi e montaggio di tavole manga. L’equilibrio temporale tra questo vortice concentrato e la narrazione canonica pende purtroppo da quest’ultima parte, la quale, tipico sintomo della sindrome Ace Attorney, fornisce un intrattenimento più scarno.

DanganRonpa non cerca purtroppo nemmeno di ammortizzare questa fase di stasi, anzi vi intramezza delle strane sezioni di dating per approfondire il rapporto con gli inquilini della scuola. Questi incontri sono emotivamente vacui, frettolosi e a volte totalmente avulsi dal corrente mood della storia. Potete tuttavia evitarli a costo di rinunciare a qualche upgrade per la fase processuale, la quale sarà anche influenzata dal ben congeniato doppio livello di difficoltà tipico di alcuni episodi di Silent Hill, separato per la parte action e puzzle. Assegno qualche punto in più anche per il superamento creativo di alcuni limiti intrinseci del format scelto, di cui posso fare solo un accenno; la gestione va dal decente (il pegno troppo pesante non esclude ogni ragionevole possibilità che il colpevole possa farla franca?), al benino (come fare a trasmettere al giocatore senso di pericolo mortifero se il protagonista deve traghettarci fino alla fine?) al molto buono (come si può rendere sempre incerto il colpevole con un cast che si restringe di volta in volta?).

Per il vostro gradimento è però indispensabile che consideriate il poco realistico contesto al di fuori della scuola solo come una scusa per disporre dentro i pezzi degli scacchi, che saranno decimati in un ordine ben preciso per creare spettacolo. Quello che si racconta avvenga extra moenia è macchinoso, smaccato e cerca maldestramente un inutile tono epico magari per porre le fondamenta dei successivi capitoli che non ho ancora provato. Ho provato invece la fedele trasposizione anime, che consiglio solo a chi ha gravi ristrettezze temporali, perché tende ad accelerare i tempi di indagine e trasla troppo letteralmente le fasi ludiche, non originariamente pensate per il piccolo schermo.


Eviscerati i misfatti con prove ineluttabili c’è anche spazio per spiegare le ragioni di cuore e sviluppare rapporti interpersonali. Quando questi legami si spezzano la rappresentazione sa essere cruenta, con cutscenes video dedicate; interessante inoltre la peculiarità del sangue raffigurato come un liquido rosa shocking (un po’ come si vide in Harvey’s New Eyes). La scelta è dovuta molto probabilmente ad una censura per fare contenti gli organismi di rating, ma si sposa molto bene con la foggia grafica pop art a colori sgargianti del resto del gioco, non propriamente rara sulle console portatili (es: Persona 4).

Lo stile dei menu è ottimo visivamente, amalgamato al resto e piuttosto funzionale. Meno curata la rappresentazione degli interni e la disposizione dei cartonati 2D del mobilio o dei personaggi causa uno strano effetto sottiletta quando si sposta l’inquadratura; le pur numerose illustrazioni sono leggermente troppo distanti temporalmente. Impressionante la colonna sonora mista jpop/jrock di MasafumiTakada, già noto per le sue collaborazioni con Suda51; elettrizzante nelle fase concitate del processo, non ne sentivo di così alta qualità da un bel po’ nel panorama videoludico, almeno per beat così ritmati. Il doppiaggio inglese su PSVITA è un’alternativa all’altezza dell’originale, che è comunque selezionabile nel caso lo preferiate, ma entrambi sono presenti solo durante gli eventi topici.

DanganRonpa innova poco e bene, puntando su elementi vincenti, comprovati, ma non abusati. Professionale in tutti i campi, compresa la scrittura, ma ancora un passo indietro rispetto all’estro creativo dei maestri della visual novel; sorprende e convince dove non te l’aspetti, in quelle brevi ma intense fasi di gameplay che danno un nuovo significato all’espressione “parlare a mitraglia”.

 

Info Requisiti
Generale
Sviluppatore: Spike Chunsoft
Data Rilascio: 16/02/2014
Piattaforma: Android, iPad, iPhone, Psp, Ps Vita
Caratteristiche
Genere: Poliziesco
Grafica: 2.5D
Visuale: Soggettiva
Doppiaggio: Inglese - Giapponese
Sottotitoli: Inglese - Giapponese
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