Adventure's Planet
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Recensione

ASA: A Space Adventure

di Daniele Picone  

il nostro voto
76
In breve

2057: Un astronauta, nel corso di una missione spaziale, si imbatte in uno strano oggetto: un cubo nero che fluttua nello spazio. Come in 2001: Odissea nello Spazio, non riusciremo a resistere alla tentazione di avvicinarci all'oggetto, ma la nostra mente è ottenebrata al punto che pur di raggiungerlo interromperemo il collegamento con l'astronave e ci lasceremo andare alla deriva nel vuoto cosmico. Invece di morire, saremo misteriosamente teletrasportati su un'enorme nave spaziale, chiamata "L'Arca". Qui incontreremo un essere (forse un altro uomo?), anch'esso in tuta spaziale, che ci deruberà del misterioso cubo. Ben presto, inoltre, scopriremo di non essere i primi astronauti giunti sull'Arca dal pianeta Terra: prima di noi, nel 2011, un uomo chiamato Philip Forée ha vissuto la nostra stessa esperienza ed ha lasciato sulla nave il suo diario. Nel corso dell'avventura esploreremo la strana nave e strani mondi alieni, cercando di recuperare il cubo e scoprire chi o cosa ha costruito l'Arca e per quale scopo...

 

Recensione Completa del 18 Dicembre 2013
In un periodo in cui spesso le avventure sembrano prendere una piega fin troppo narrativa, cominciavo a sentire la mancanza di un esponente con un approccio opposto ovvero appartenente al filone inaugurato da Myst e storicamente avente un maggiore riscontro di pubblico. In mancanza di produzioni di alto profilo che possano rilanciare il genere, in attesa di un papabile candidato quale the Witness e forti del riuscito crowdfunding di Obduction, non nascondo quindi un certo entusiasmo nel recensire un’opera indie nel sua forma più distillata, realizzata in toto dal solo grafico francese Simon Mesnard.

Gli utenti di questo sito avranno peraltro sicuramente familiarità con gli stilemi del sottogenere in esame: la visuale in prima persona, la deduzione del funzionamento di macchinari sconosciuti e la sensazione d’isolamento assoluto. L’autore di ASA: A Space Adventure segue appunto questo paradigma duro e puro, dichiarando anche con un piccolo cameo la sua ispirazione a un classico del genere come Riven; la sua predilezione nel riprendere i classici del passato è poi confermata anche in un altro suo progetto purtroppo abbandonato, The Black Tower, le cui somiglianze con Final Fantasy VII sono anche più evidenti.

La scelta ben definita del genere non impedisce comunque di sperimentare sul tema; sebbene sia difatti prassi comune che, per enfatizzare la sensazione da naufrago intellettuale, Myst e cloni esplorino scenari alieni, voglia il lettore perdonarmi se non mi sovviene alcun altro esempio in cui questo format abbia provato ad aggiungere qualche elemento di fantascienza hard (cioè che si basa su un più marcato rigore scientifico), sebbene una commistione di questo tipo sia stata provata a suo modo daThe Dig.
Al contrario di un cyberpunk o una space opera, che in passato sono già stati ampiamente utilizzati in avventure classiche o rpg, l’approccio impersonale, la centralità olistica delle macchine e la gran quantità di tempi morti di 2001: Odissea nello Spazio (a cui è stato reso altrettanto tributo integrandovi un suo elemento iconico) sembrano così essere la deriva sci-fi più adatta a fondersi con il gameplay mystico.
In questo contesto spersonalizzante può non sorprendere che il giocatore guidi un personaggiofeatureless, muto e vestito di un’aderente tuta spaziale integrale che ne copre completamente i lineamenti, un espediente furbo anche in termini di budget per evitare le notoriamente rognose animazioni facciali. E’ insomma la classica tela bianca che il giocatore può dipingere a piacere con la sua immaginazione.
Immersi in questo nudo ambiente ostile e guidati solo da una voce artificiale sintetizzata, ogni segno di umanità è centellinato e rappresenta un’oasi miracolosa. Seguendo le testimonianze dall’astronauta francese Forté, un terrestre che è stato ospite della navicella spaziale prima di voi, e leggendone i diari, doppiati purtroppo forse in maniera un po’ troppo inespressiva, potremo ripercorrere tappa per tappa il suo percorso di integrazione con gli alieni, in un lavoro di ricostruzione con riferimenti alla cultura pop non dissimile da quanto Gone Home ha proposto in modo assai più approfondito.

Ed è forse proprio nel lavoro filologico di decrittazione dei metodi di comunicazione extraterrestri che il gioco mostra il suo lato più avvincente e forse meglio riuscito, quello della disposizione degli indizi. La maggior parte di essi sono giustamente concentrati nella zona in cui bisogna risolvere l’enigma, ma è apprezzabile che ne esistano altrettanti in luoghi precedentemente visitati e difficilmente intellegibili senza la conoscenza acquisita a posteriori. In questo senso ho particolarmente apprezzato che in un certo punto del gioco, nonostante mi mancasse un indizio fondamentale, la risoluzione dell’enigma fosse possibile e forse anche intellettualmente più stimolante operando per vie traverse. E anche nel caso in cui si hanno a disposizione tutti gli strumenti, viene sempre lasciato uno spiraglio d’interpretabilità in modo che essi siano chiari solo all’80-90%; la mancanza della certezza assoluta che la vostra ipotesi sia corretta lascia quindi un alone di arcano che rende eccitante anche il momento di messa in pratica.

Quest’astronave, che inizialmente sembrava divisa in comparti stagni, tende a diventare tutt’uno col giocatore, piano piano diventato più esperto della sua componente sociale ormai perduta e dei suoi meccanismi che si interconnettono poco a poco. Questo concept affascinante rende però sconsigliabile giocare in sessioni molto distanti temporalmente dato che le informazioni, di cui è bene prendere nota su carta, saranno sempre rielaborate per enigmi successivi. Poteva inoltre essere evitata la cattiveria gratuita di posizionare l’indizio risolutivo di uno degli enigmi finali, già di suo vago, in un luogo a quel punto inaccessibile.
Devo comunque constatare che non tutte le impalcature del gameplay siano state realizzate in maniera efficace. Prima di tutto la struttura di qualche enigma troppo semplificata può intaccare l’atmosfera da fantascienza tecnologica; è ad esempio difficilmente giustificabile che il linguaggio alieno sia così dichiaratamente argot oppure che dei codici di avviamento siano nascosti così maldestramente in un cruciverba. Sebbene sia stato poi piacevolmente sorpreso da un simpatico interfacciamento di una periferica del gioco col mio sistema operativo, sarebbe stato preferibile che in generale esse fossero più user-friendly durante l’inserimento della soluzione. Anche il meccanismo dell’inventario è perfettibile, ma è facile passarci sopra perché l’utilizzo degli oggetti è sporadico e sempre intuitivo.

Il difetto principale rimane comunque di gran lunga il sistema di navigazione, un problema tanto fastidioso quanto annoso, che a mio avviso rappresenta al giorno d’oggi l’ostacolo principale che allontana molti potenziali nuovi fan del genere. In ASA ci si alterna difatti tra schermate fisse e visuali panoramiche a 360° e queste ultime, forse a causa di prestazioni non eccelse del motore AdventureMaker, necessitano di un fastidioso istante di troppo per il caricamento. C’è inoltre da segnalare la spinosa questione della mancanza di un meccanismo per evidenziare tutti i sentieri percorribili: se da un lato condivido quell’emozione da survival, specie nelle sezioni all’aperto, nel procurarsi le risorse vitali (o meglio, in questo contesto, le informazioni), dall’altra la loro mancanza, di cui si è spesso consapevoli, per alcuni potrà apparire come un’ingiusta difficoltà artificiosa, atta soltanto ad aumentare le ore di gioco che sf(i)orano le 15 senza l’uso di guide.
Come c’era da aspettarsi da un grafico di professione, i disegni, sebbene bloccati a risoluzione 1024x432 con inevitabili bande nere in fullscreen, hanno un elevatissimo grado di pulizia che non sfigura nemmeno davanti a produzioni semi-recenti nel campo delle avventure del calibro di Perry Rhodan, che ne condivide la plasticità architetturale. Gli ambienti prerenderizzati sono poi spogli al punto giusto e si sposano con il senso di minimalismo generale, laddove anche le cutscenes sono elaborate, segno di una certa esperienza nella realizzazione di corti in computer grafica, con un ottimo utilizzo dei filtri che simulano bene la prospettiva dietro ad un visore con computer integrato.

Le musiche di Stelian Derrenne magari non raggiungeranno la genialità delle scelte di Kubrick nella sua Odissea, ma sono evocative, professionali e ottime per creare un’ambiente intimo (nel caso non vi fidiate di me, sono state apprezzate anche dalla mia dolce metà); gli effetti sonori sono azzeccati anche quando relativi a dispositivi extraterrestri.

Segnalo infine che è disponibile una traduzione in lingua italiana realizzata da un generoso freelance, ma tenete presente che si tratta di un lavoro amatoriale non esente da pecche, in particolare è rimasto qualche refuso e qualche errore di formattazione. Non si tratta inoltre di una localizzazione completa in quanto a volte i testi coprono maldestramente quelli originali e il giocatore con un’infarinatura d’inglese rimane comunque avvantaggiato.
E’ difficile spiegare l’essenza di ASA e quella sensazione molto sottile che, pur limitandosi a meccaniche dal comprovato funzionamento, riesce a confondere con una mistura di oggetti di tutti giorni e altri modificati lo stretto necessario per sembrare provenienti da un’altra cultura; il giocatore è così chiamato poco a poco a colmare quella distanza, attaccandosi a quel barlume di umanità forse trasposizione dell’autore stesso.
Sebbene sia stato sorpreso dalla durata ragguardevole, i capostipiti del genere ci hanno abituato a lunghezze davvero epiche che rendono il confronto un po’ impari; rimane comunque la non magra consolazione che i puzzle, sebbene già visti in altre salse, abbiano una cura eccellente e siano decisamente impegnativi, mancando solo di un ultimo passo di qualitycheck per raggiungere lo status di memorabili.
Questo piccolo contenitore è un’ottima piattaforma di lancio per la carriera del nostro sviluppatore esordiente, che al momento non ha avuto l’attenzione che meritava anche a causa di un mercato first person puzzlerin un momento di stanca. Spero di sentirne ancora parlare, indipendentemente dal fatto che sia in compagnia di qualche collega con cui possa esaltarsi nella sua specialità (la computer-grafica) o da solo, avendo qui dimostrato di saper compiere un lavoro egregio.

 

Info Requisiti
Generale
Sviluppatore: Simon Says: Watch! Play!
Data Rilascio: 08/01/2013
Piattaforma: Linux, MAC, PC
Caratteristiche
Genere: Fantascienza
Grafica: 2D
Visuale: Soggettiva
Controllo: Mouse
Doppiaggio: Francese - Inglese
Sottotitoli: Multilingua (italiano incluso)
Ricerche
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Requisiti minimi
OS: Windows XP/Vista/7/8
Processore: 2 Ghz
RAM: 2 GB
Scheda Video: 256 MB
Hard Disk: 1 GB
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