Martedì, 01 Settembre 2020 21:11
The Secret of Monkey Island compie 30 anni
Il 2 settembre del 1990 il ventiseienne Ron Gilbert archivia su 4 floppy disk il codice sorgente definitivo di The Secret of Monkey Island, il suo secondo punta e clicca da director dopo Maniac Mansion. Un gioco destinato a dare origine a una delle saghe videoludiche più amate di sempre, a imporre definitivamente un modello di avventura grafica replicato innumerevoli volte nel corso dei decenni seguenti e in auge ancora oggi, ma soprattutto a diventare una pietra miliare della storia dei videogiochi e un pioniere del Postmodernismo in questo ambito.
The Secret of Monkey Island compie dunque 30 anni, eppure non è invecchiato di un giorno, né ha ancora smesso di essere all'avanguardia. La ragione risiede oltre che nella meravigliosa grafica ˗ ci riferiamo alla conversione VGA dell’originale ˗ e nella memorabile colonna sonora di Michael Land, soprattutto nel miracoloso connubio fra una struttura di gameplay lineare, ideata in opposizione a quella delle avventure Sierra da un lato e di Maniac Mansion e Zak McKracken dall’altro, e una scrittura postmodernista straordinariamente sperimentale, esilarante, imprevedibile e metavideoludica.
Applicando i principi esposti nel suo celebre articolo-manifesto del dicembre 1989 "Why adventure game suck", in cui peraltro aveva fatto ammenda sul suo Maniac Mansion, Gilbert elimina i vicoli ciechi, gli enigmi frustranti, le morti e le sezioni action, concependo una struttura di gameplay lineare, ma comunque sfidante grazie alla lateralità degli enigmi, e aperta, soprattutto nella prima parte di Mêlée Island, in cui il giocatore sceglie liberamente in che ordine risolvere le tre prove. Una prima parte che mescola gli enigmi laterali con un avanzamento da rpg, in cui il protagonista, col denaro ricavato dal lancio nel cannone effettuato usando una pentola come casco, acquista il corso intensivo da spadaccino, la mappa, la pala e la spada necessarie a progredire in due delle tre prove, e impara poi gli insulti attraverso i duelli e soprattutto le sconfitte. Dopo una seconda breve parte ambientata sulla nave, in cui la ricerca degli ingredienti per la ricetta voodoo verrà poi ripresa da Gilbert trent’anni dopo come base del gameplay del DLC di Thimbleweed Park, nella terza su Monkey Island la componente esplorativa si fa più spiccata, con gli enigmi che appaiono più interconnessi fra loro.
Ma oltre che nella definitiva messa a punto di una struttura di gameplay che, già in parte costruita nei precedenti Indiana Jones: The Last Crusade e Loom, continua a fare scuola, lo straordinario e intramontabile successo di The Secret of Monkey Island è dovuto anche e soprattutto a una scrittura incredibile, frutto della collaborazione di Gilbert con Dave Grossman e Tim Schafer, capace di fondere continuamente un racconto brillante e avvincente con una folle sperimentazione metanarrativa che tuttavia non intacca mai la chiarezza e lo svolgersi della storia né cade nell'eccesso o nel trash, e che agisce anche sul gameplay, forzandolo fino ai limiti estremi.
Il mondo piratesco è già di per sé un’ambientazione molto intrigante, ma colpisce come il protagonista e i tanti comprimari, come Stan, Elaine, una delle prime donne forti dei videogiochi, i Fratelli Fettuccini, Captain Smirk, Meathook, i cannibali, siano caratterizzati meravigliosamente con pochi tratti. La narrazione inoltre è piena di colpi di scena e di gag, dialoghi e trovate così esilaranti, geniali e spiazzanti da essere addirittura entrate nell'immaginario collettivo, tanto che The Secret of Monkey Island è probabilmente il videogioco col maggior numero di citazioni passate alla storia. I topoi della pirateria e i ruoli vengono poi continuamente ribaltati e la stessa Mêlée Island è concepita a metà fra una cittadina del Far West di fine Ottocento e una di provincia del centrosud degli Stati Uniti durante la depressione degli anni Trenta, segnata in questo caso dalla disoccupazione e povertà dei pirati a causa dello spadroneggiare di LeChuck, un ibrido a cui per di più si aggiungono elementi della contemporaneità.
Su questo racconto Gilbert, Grossman e Schafer innestano continui inserti metanarrativi-videoludici. Sul primo versante ci limitiamo a citare un esempio iniziale forse poco noto. Dopo aver parlato con la sentinella miope è possibile dialogarci nuovamente. Fra domande deliranti come “Cos'è verde, peloso, con mille gambe?” e “Cerco divertimento, cosa ne dici?”, si può scegliere “Ti sei mai chiesto se siamo solo personaggi di un romanzo?”. E come Christopher Nolan nel suo primo lungometraggio Following piazza sulla porta dell’appartamento del protagonista un adesivo di Batman, qui Gilbert sembra già avere in mente l’idea che sarà SPOILER quasi 30 anni dopo alla base di Thimbleweed Park.
Ma è nel versante metavideoludico che i tre talenti spingono a mille sull'acceleratore, sia dal lato citazionista commerciale che del gameplay. L’esempio più celebre del primo lato è la marchetta ironica a Loom, cliccabile nel corso del dialogo all’interno dello SCUMM BAR con Cob, assistente del villain del gioco di Moriarty qui in versione piratesca con tanto di spilletta pubblicitaria esortativa. Un gioco, Loom, che in realtà influenza quello di Gilbert in diversi aspetti, dal nome del protagonista, simile a quello di Bobbin Threadbare, tanto che gli sviluppatori giocano su questa assonanza facendo sì che Guybrush possa presentarsi a volte usando questo nome, alla componente grafica ˗ negli scorci iniziali di Mêlée il pixel artist Mark Ferrari riprende quelli dell’isola di Loom da lui stesso creati ˗ a quella ruolistica.
Gilbert, Grossman e Schafer giocano e sperimentano molto anche con il gameplay e l’interfaccia SCUMM. Per ragioni di spazio ci limitiamo solo ad alcuni casi. Quando all'inizio interagite col topo degli uomini di bassa lega basta associare un verbo al roditore senza eseguire il comando, perché i pirati già si stizziscano, trovata che si ritrova in forma simile anche quando parlate con la Voodoo Lady. Dopo aver selezionato le linee di dialogo, queste infatti non appaiono a schermo, perché lei prevede ciò che state per dire. In due situazioni poi si ironizza sulla morte nei videogiochi. Citiamo quella un po’ meno conosciuta, sulla cima della roccia a Monkey Island, quando Guybrush precipita con tanto di apparizione di finestra Game Over in stile Sierra, per poi tornare su in rewind dicendo che lo ha salvato un albero di gomma.
I momenti più stupefacenti sono senza dubbio quello in casa del governatore Marley e il finale. Nel primo Guybrush, entrato in una porta frontale per rubare l’idolo, sparisce dallo schermo. Parte così una sorta di cutscene invisibile, in cui il gioco mette il pilota automatico eseguendo in autonomia comandi surreali e facendo apparire improponibili oggetti nell'inventario, mentre nel contempo Guybrush ingaggia con lo sceriffo una scazzottata alla Batman di Adam West, in un crescendo sempre più delirante. Nel finale invece, dopo aver sconfitto LeChuck parte l’instant replay della scena, mostrato poi da una camera dall’alto, come se si stesse assistendo a un match sportivo sulla pay-tv.
Potremmo scrivere ancora fiumi e fiumi di parole su The Secret of Monkey Island, e sarebbero sempre inadeguate a celebrare un’opera di questo calibro e portata, che occupa un posto di rilievo non solo nel mondo videoludico, ma anche nella cultura in generale. Per questo ci limitiamo a ringraziare dal profondo del cuore Ron Gilbert, Dave Grossman, Tim Schafer e il resto del team per averci regalato The Secret of Monkey Island, un gioco che ha reso più spensierate le nostre vite e ci ha insegnato come si usa un pollo con la carrucola in mezzo. Un ringraziamento inoltre a Diduz di Lucasdelirium per averci dato l'imbeccata sulla data di nascita del gioco. Se volete saperne di più, consultate la sua inappuntabile e approfondita scheda di TSOM a questo link.