«Ecco la tua polvere, Alchimista. Spero che tu sappia cosa stai facendo» sussurrò Zarag.
«Taci e sta a vedere» gli rispose Erithar, poi dopo aver preso la polvere d'ossa si voltò verso il mercenario e urlò a suo indirizzo: «Ehi, cane bastardo! Dico a te, guardami! Perché non apri la porta di questa cella e vediamo chi di noi due è il più forte, eh?!»
Il mercenario guardò pigramente l'Alchimista, ma non fece nè disse nulla.
«Proprio come immaginavo, sei soltanto uno schifoso vigliacco. Se avessimo attaccato noi per primi, ora tua madre si prostituirebbe ai nostri soldati, anche se forse non sarebbe un'attività così inconsueta per lei...»
A queste parole, il mercenario del Dragone grugnì qualcosa nella sua lingua, prese la sua lancia e fece per avvicinarsi alla cella con l'asta rivolta verso Erithar, probabilmente col proposito di colpirlo a distanza fra le sbarre.
"Devo aspettare il momento giusto" pensava "se soffierò la polvere troppo presto non lo colpirò, se la soffiierò troppo tardi riuscirà a colpirmi".
Attese. Il sudore gli imperlava la fronte mentre il mercenario si faceva più vicino.
Il soldato era vicino alle sbarre, tirò indietro le braccia per caricare il colpo.
In quel preciso istante Erithar aprì il palmo della sua mano e soffiò contro il mercenario, che venne investito dalla polvere e cominciò a tossire violentemente, tuttavia prima di lasciare andare la lancia mandò a segno il suo colpo, centrando Erithar con violenza all'altezza della caviglia.
Cercando di ignorare quel dolore lancinante, non perse un momento: afferrò la lancia da attraverso le sbarre e affondò con tutta la violenza che poteva contro il mercenario, che trafitto a morte all'altezza del petto spirò sul colpo, senza un lamento.
«Devo dire che ti avevo sottovalutato, umano. Ottimo lavoro» disse laconicamente Zarag.
Ignorandolo, Erithar cercò di tirare a sè il cadavere del soldato e gli prese le chiavi della cella, dopodiché, aperta la sua e quella dell'orco, aprì lentamente la porta d'uscita dalle celle per sbirciare a destra e a sinistra senza farsi notare.
A sinistra il corridoio terminava in un muro, a destra c'era una porta a non molta distanza da quella da cui stava guardando, e poi il corridoio proseguiva sino ad un bivio a destra e a sinistra.
Richiusa la porta, si consultò con Zarag.
«Bene, la via è libera. Resta da decidere se cercare il nostro equipaggiamento in questo avamposto o se cercare di raggiungere la tua schifosa viverna coi mezzi che abbiamo»
«Io posso prendere la lancia, o la spada del mercenario, è irrilevante. Ma con le mie armi e con la mia armatura combatterei molto meglio» commentò l'orco.
Erithar riflettè: cos'era meglio fare? Esaminare la porta a fianco? Andare in fondo al corridoio a destra? O forse a sinistra? Sapeva che doveva decidere in fretta, i mercenari non avrebbero tardato troppo a scoprire che si erano liberati e stavano scappando.
«Taci e sta a vedere» gli rispose Erithar, poi dopo aver preso la polvere d'ossa si voltò verso il mercenario e urlò a suo indirizzo: «Ehi, cane bastardo! Dico a te, guardami! Perché non apri la porta di questa cella e vediamo chi di noi due è il più forte, eh?!»
Il mercenario guardò pigramente l'Alchimista, ma non fece nè disse nulla.
«Proprio come immaginavo, sei soltanto uno schifoso vigliacco. Se avessimo attaccato noi per primi, ora tua madre si prostituirebbe ai nostri soldati, anche se forse non sarebbe un'attività così inconsueta per lei...»
A queste parole, il mercenario del Dragone grugnì qualcosa nella sua lingua, prese la sua lancia e fece per avvicinarsi alla cella con l'asta rivolta verso Erithar, probabilmente col proposito di colpirlo a distanza fra le sbarre.
"Devo aspettare il momento giusto" pensava "se soffierò la polvere troppo presto non lo colpirò, se la soffiierò troppo tardi riuscirà a colpirmi".
Attese. Il sudore gli imperlava la fronte mentre il mercenario si faceva più vicino.
Il soldato era vicino alle sbarre, tirò indietro le braccia per caricare il colpo.
In quel preciso istante Erithar aprì il palmo della sua mano e soffiò contro il mercenario, che venne investito dalla polvere e cominciò a tossire violentemente, tuttavia prima di lasciare andare la lancia mandò a segno il suo colpo, centrando Erithar con violenza all'altezza della caviglia.
Cercando di ignorare quel dolore lancinante, non perse un momento: afferrò la lancia da attraverso le sbarre e affondò con tutta la violenza che poteva contro il mercenario, che trafitto a morte all'altezza del petto spirò sul colpo, senza un lamento.
«Devo dire che ti avevo sottovalutato, umano. Ottimo lavoro» disse laconicamente Zarag.
Ignorandolo, Erithar cercò di tirare a sè il cadavere del soldato e gli prese le chiavi della cella, dopodiché, aperta la sua e quella dell'orco, aprì lentamente la porta d'uscita dalle celle per sbirciare a destra e a sinistra senza farsi notare.
A sinistra il corridoio terminava in un muro, a destra c'era una porta a non molta distanza da quella da cui stava guardando, e poi il corridoio proseguiva sino ad un bivio a destra e a sinistra.
Richiusa la porta, si consultò con Zarag.
«Bene, la via è libera. Resta da decidere se cercare il nostro equipaggiamento in questo avamposto o se cercare di raggiungere la tua schifosa viverna coi mezzi che abbiamo»
«Io posso prendere la lancia, o la spada del mercenario, è irrilevante. Ma con le mie armi e con la mia armatura combatterei molto meglio» commentò l'orco.
Erithar riflettè: cos'era meglio fare? Esaminare la porta a fianco? Andare in fondo al corridoio a destra? O forse a sinistra? Sapeva che doveva decidere in fretta, i mercenari non avrebbero tardato troppo a scoprire che si erano liberati e stavano scappando.