Ho finalmente portato a termine qualche giorno fa Goodybe Deponia, chiudendo quindi la mia chilometrica avventura con Rufus, cominciata con Fuga da Deponia e proseguita con Caos a Deponia. Data l'importanza della serie per gli appassionati di avventure, mi sento in dovere di dire quattro parole. Non faccio spoiler.
Da appassionato del genere, incuriosito dal dibattito su innovazione dell'adventure e suoi limiti, sono sempre attento a tre aspetti di un'avventura grafica, secondo me cruciali per garantire una buona giocabilità senza sacrificare la narrazione.
1) La plausibilità del mondo di gioco e della sua manipolazione: meno forzature logiche ci sono per complicare artificialmente gli enigmi, meglio è.
2) La credibilità delle interazioni del protagonista con gli altri personaggi.
3) La credibilità delle azioni del protagonista con ciò che deve manipolare.
Ora, io credo che la trilogia di Deponia sia discretamente geniale nell'affrontare queste tre problematiche, perché... non le affronta proprio. Ma fosse solo questo, rientrerebbe nella schiera nutrita di tante avventure simili (o anche comiche involontarie). Gli autori di Deponia non affrontano questi limiti: costruiscono il gioco in funzione di essi, esasperandoli all'inverosimile, secondo me più di ogni altro autore che ha proposto questo tipo di taglio. Riprendendo i tre punti precedenti, ecco cosa fanno il designer e sceneggiatore Poki e la sua squadra:
1) Ambientano la trilogia nella monnezza. Ci può essere di tutto, si può partorire qualsiasi assurdità dando briglia sciolta alla fantasia, e sembra automaticamente plausibile. Quante volte si è detto: "Nell'avventura demenziale ti metti in tasca di tutto?" Gli Americani dicono che riempi l'inventario di "junk". Monnezza, appunto. E non c'è bisogno di forzare il registro del racconto!
2) Rufus è egoista e ruffiano ai limiti del disgustoso, quindi se manipola gli altri personaggi e li inganna, i tiri mancini ai loro danni, subiti da questi con la tonteria tipica dell'interazione lineare e ripetitiva dei classici punta & clicca, diventano automaticamente coerenti con la caratterizzazione del protagonista e quindi del gioco. Lezione Simon the Sorcerer, elevata all'ennesima potenza.
3) Attenti qui: non solo Rufus è egoista, ma è anche un cretino - cosa che ci viene fatta notare spesso - quindi se per dire combina un filo interdentale con la soletta, spalmandola di maionese ammuffita, ficcando il tutto in una pila elettrica cosparsa di cioccolato bianco, va benissimo. Anzi, sembra ancora più coerente con l'aria fuori di testa che il giocatore si aspetta di respirare. Lezione Guybrush, Bernard etc. etc.
Qualcuno si è lamentato dello stiracchiamento della storia: è vero. Caos a Deponia, per quanto sia il più equilibrato e forse quello dal più ampio respiro della trilogia, sostanzialmente "parcheggia" la vicenda generale con una megadigressione, prima di riprenderla con Goodbye Deponia (che per me rimane il migliore per originalità e complessità). Però, tenendo presente quello che ho detto, poteva pure andare peggio: perché la serie di Deponia procede per accumulo e quasi per scrittura automatica, ammassando trovate di trama e design a volte geniali (soprattutto nel terzo atto), altre volte contorte, di puro riempitivo. Agli autori interessa porre le premesse migliori di cui sopra per partorire decine e decine di enigmi demenziali alla Monkey Island 3 o Simon the Sorcerer, non per raccontare. Salvo poi trovarsi nei guai quando qui e lì tradiscono la volontà di innestare una patina malinconica e più matura (alla Daedalic interessa, si vede), che però si sono preclusi con le stesse premesse demenziali di cui ho parlato; non a caso la sfumatura drammatica e più ambiziosa viene fuori più nelle sequenze non interattive, fateci caso. Anche alcuni comprimari rimangono macchiette durante tutta l'interazione, per diventare all'improvviso più profondi nei climax in cui c'è poco o nulla da giocare.
La trilogia di Deponia, se considerata come un gioco unico (e si potrebbe farlo, visto che nei saldi il costo cumulativo dei tre capitoli ormai è ridicolo), è un'overdose di vecchia scuola sulle 60 ore, con enigmi a volte impegnativi (ho usato la soluzione solo due volte, una volta nel secondo gioco e un'altra nel terzo). Il che comprendo fa enormemente piacere a chi si senta orfano di questo taglio. Tuttavia, è anche appunto un'overdose, un'esperienza che a conti fatti predilige la quantità alla qualità. Occhio: non che la qualità non ci sia, ma il rapporto è sbilanciato a favore della quantità. Se ai tempi della LucasArts mi sedevo al tavolo con l'idea di assaggiare un manicaretto raffinato, con Deponia mi sono seduto in una trattoria dove mi hanno servito sei antipasti, assaggini di primi, tre secondi, frutta di stagione ed esotica, quattro dessert e una grappa superalcolica, mentre mi si cominciavano a chiudere gli occhi per lo sforzo di digestione verso i due terzi del pasto. Magari uno di quei primi era divino, un secondo era da guida Michelin, ma nello stomaco ho un guazzabuglio di cibarie e succhi gastrici in cui è arduo distinguere. E se il paragone vi sembra schifido, sappiate che lo humor nero e via via sempre più gore di Poki e soci (Goodbye Deponia è micidiale, siete avvisati) mi legittima!
A ciò va aggiunto che la fantasia con la quale sono pensati i puzzle prende il sopravvento anche sulla capacità del giocatore di orientarsi tra di essi. Avete presente quel che si dice? Un'avventura facile vi suggerisce cosa fare e anche come farlo. Quella di giusta difficoltà vi suggerisce cosa fare ma non come farlo. Quella difficile non vi suggerisce nulla. I Deponia spesso scelgono (?) una quarta via: vi suggeriscono cosa fare ma in diversi casi non sapete per quale diavolo di motivo dovreste farlo! Mi è capitato di proseguire perché capivo la pura meccanica di risoluzione di un enigma, ma non avevo proprio idea di quale fosse il senso ultimo delle mie azioni! E quando il senso (o il non-senso) si è palesato, sono successe cose che non avrei mai immaginato. Ma, ancora una volta, siccome il registro è idiota, surreale e contestualizzato nel caos della monnezza, sembra tutto legittimo.
Ammetto che terminato il terzo capitolo mi sono emozionato, perché la chiusura - come avrete modo di appurare se ci giocherete quando uscirà in italiano - aiuta a uscire dalla storia in modo significativo e non banale. Però non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione che il risultato sia inferiore alla somma delle sue parti. E' normale paragonare questo prodotto a Monkey Island 3 (e d'altronde, è evidente che gli autori ammicchino a quel taglio per affetto e ragioni commerciali), ma di quello mi ricordo quasi tutto, mentre i tre Deponia mi hanno travolto con la loro cornucopia isterica, e la LucasArts non avrebbe mai prodotto tre giochi uno di seguito all'altro così simili tra di loro, se non indistinguibili.
Fermi restando questi distinguo, che per me andavano segnalati, i tre Deponia rimangono una tappa imprescindibile per l'appassionato di avventure grafiche oggi: sono generosi e sinceri, presentano uno stile grafico riconoscibile, e sono frutto di un lavoro mastodontico. Anche nei loro difetti, rappresentano legittimamente l'avventura punta & clicca umoristica al giorno d'oggi, diventando un modo per aiutarci a capire se la struttura ci piace ancora, se ci ha stancato, o se piuttosto abbia ancora qualcosa da dire... magari in dosi meno ipertrofiche!
Da appassionato del genere, incuriosito dal dibattito su innovazione dell'adventure e suoi limiti, sono sempre attento a tre aspetti di un'avventura grafica, secondo me cruciali per garantire una buona giocabilità senza sacrificare la narrazione.
1) La plausibilità del mondo di gioco e della sua manipolazione: meno forzature logiche ci sono per complicare artificialmente gli enigmi, meglio è.
2) La credibilità delle interazioni del protagonista con gli altri personaggi.
3) La credibilità delle azioni del protagonista con ciò che deve manipolare.
Ora, io credo che la trilogia di Deponia sia discretamente geniale nell'affrontare queste tre problematiche, perché... non le affronta proprio. Ma fosse solo questo, rientrerebbe nella schiera nutrita di tante avventure simili (o anche comiche involontarie). Gli autori di Deponia non affrontano questi limiti: costruiscono il gioco in funzione di essi, esasperandoli all'inverosimile, secondo me più di ogni altro autore che ha proposto questo tipo di taglio. Riprendendo i tre punti precedenti, ecco cosa fanno il designer e sceneggiatore Poki e la sua squadra:
1) Ambientano la trilogia nella monnezza. Ci può essere di tutto, si può partorire qualsiasi assurdità dando briglia sciolta alla fantasia, e sembra automaticamente plausibile. Quante volte si è detto: "Nell'avventura demenziale ti metti in tasca di tutto?" Gli Americani dicono che riempi l'inventario di "junk". Monnezza, appunto. E non c'è bisogno di forzare il registro del racconto!
2) Rufus è egoista e ruffiano ai limiti del disgustoso, quindi se manipola gli altri personaggi e li inganna, i tiri mancini ai loro danni, subiti da questi con la tonteria tipica dell'interazione lineare e ripetitiva dei classici punta & clicca, diventano automaticamente coerenti con la caratterizzazione del protagonista e quindi del gioco. Lezione Simon the Sorcerer, elevata all'ennesima potenza.
3) Attenti qui: non solo Rufus è egoista, ma è anche un cretino - cosa che ci viene fatta notare spesso - quindi se per dire combina un filo interdentale con la soletta, spalmandola di maionese ammuffita, ficcando il tutto in una pila elettrica cosparsa di cioccolato bianco, va benissimo. Anzi, sembra ancora più coerente con l'aria fuori di testa che il giocatore si aspetta di respirare. Lezione Guybrush, Bernard etc. etc.
Qualcuno si è lamentato dello stiracchiamento della storia: è vero. Caos a Deponia, per quanto sia il più equilibrato e forse quello dal più ampio respiro della trilogia, sostanzialmente "parcheggia" la vicenda generale con una megadigressione, prima di riprenderla con Goodbye Deponia (che per me rimane il migliore per originalità e complessità). Però, tenendo presente quello che ho detto, poteva pure andare peggio: perché la serie di Deponia procede per accumulo e quasi per scrittura automatica, ammassando trovate di trama e design a volte geniali (soprattutto nel terzo atto), altre volte contorte, di puro riempitivo. Agli autori interessa porre le premesse migliori di cui sopra per partorire decine e decine di enigmi demenziali alla Monkey Island 3 o Simon the Sorcerer, non per raccontare. Salvo poi trovarsi nei guai quando qui e lì tradiscono la volontà di innestare una patina malinconica e più matura (alla Daedalic interessa, si vede), che però si sono preclusi con le stesse premesse demenziali di cui ho parlato; non a caso la sfumatura drammatica e più ambiziosa viene fuori più nelle sequenze non interattive, fateci caso. Anche alcuni comprimari rimangono macchiette durante tutta l'interazione, per diventare all'improvviso più profondi nei climax in cui c'è poco o nulla da giocare.
La trilogia di Deponia, se considerata come un gioco unico (e si potrebbe farlo, visto che nei saldi il costo cumulativo dei tre capitoli ormai è ridicolo), è un'overdose di vecchia scuola sulle 60 ore, con enigmi a volte impegnativi (ho usato la soluzione solo due volte, una volta nel secondo gioco e un'altra nel terzo). Il che comprendo fa enormemente piacere a chi si senta orfano di questo taglio. Tuttavia, è anche appunto un'overdose, un'esperienza che a conti fatti predilige la quantità alla qualità. Occhio: non che la qualità non ci sia, ma il rapporto è sbilanciato a favore della quantità. Se ai tempi della LucasArts mi sedevo al tavolo con l'idea di assaggiare un manicaretto raffinato, con Deponia mi sono seduto in una trattoria dove mi hanno servito sei antipasti, assaggini di primi, tre secondi, frutta di stagione ed esotica, quattro dessert e una grappa superalcolica, mentre mi si cominciavano a chiudere gli occhi per lo sforzo di digestione verso i due terzi del pasto. Magari uno di quei primi era divino, un secondo era da guida Michelin, ma nello stomaco ho un guazzabuglio di cibarie e succhi gastrici in cui è arduo distinguere. E se il paragone vi sembra schifido, sappiate che lo humor nero e via via sempre più gore di Poki e soci (Goodbye Deponia è micidiale, siete avvisati) mi legittima!
A ciò va aggiunto che la fantasia con la quale sono pensati i puzzle prende il sopravvento anche sulla capacità del giocatore di orientarsi tra di essi. Avete presente quel che si dice? Un'avventura facile vi suggerisce cosa fare e anche come farlo. Quella di giusta difficoltà vi suggerisce cosa fare ma non come farlo. Quella difficile non vi suggerisce nulla. I Deponia spesso scelgono (?) una quarta via: vi suggeriscono cosa fare ma in diversi casi non sapete per quale diavolo di motivo dovreste farlo! Mi è capitato di proseguire perché capivo la pura meccanica di risoluzione di un enigma, ma non avevo proprio idea di quale fosse il senso ultimo delle mie azioni! E quando il senso (o il non-senso) si è palesato, sono successe cose che non avrei mai immaginato. Ma, ancora una volta, siccome il registro è idiota, surreale e contestualizzato nel caos della monnezza, sembra tutto legittimo.
Ammetto che terminato il terzo capitolo mi sono emozionato, perché la chiusura - come avrete modo di appurare se ci giocherete quando uscirà in italiano - aiuta a uscire dalla storia in modo significativo e non banale. Però non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione che il risultato sia inferiore alla somma delle sue parti. E' normale paragonare questo prodotto a Monkey Island 3 (e d'altronde, è evidente che gli autori ammicchino a quel taglio per affetto e ragioni commerciali), ma di quello mi ricordo quasi tutto, mentre i tre Deponia mi hanno travolto con la loro cornucopia isterica, e la LucasArts non avrebbe mai prodotto tre giochi uno di seguito all'altro così simili tra di loro, se non indistinguibili.
Fermi restando questi distinguo, che per me andavano segnalati, i tre Deponia rimangono una tappa imprescindibile per l'appassionato di avventure grafiche oggi: sono generosi e sinceri, presentano uno stile grafico riconoscibile, e sono frutto di un lavoro mastodontico. Anche nei loro difetti, rappresentano legittimamente l'avventura punta & clicca umoristica al giorno d'oggi, diventando un modo per aiutarci a capire se la struttura ci piace ancora, se ci ha stancato, o se piuttosto abbia ancora qualcosa da dire... magari in dosi meno ipertrofiche!